La biologia ha dimostrato che esiste la biodiversità umana non quella razziale. Il genetista Barbujani smonta scientificamente i concetti su cui anche studiosi hanno fondato le loro certezze razziste
La biologia ha dimostrato che esiste la biodiversità umana non quella razziale. Il genetista Barbujani smonta i concetti su cui anche studiosi hanno fondato le loro certezze razziste
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Le interviste
Ha esordito affermando seccamente “Gli africani siamo noi” e ha conquistato una platea attenta, che poi l’ha lungamente applaudito, con un’argomentata quanto brillante dimostrazione che proprio la biologia sconfessa ogni razzismo. Anche se allo stesso tempo dimostra che non siamo affatto uguali. Come stanno insieme queste due “prove”?
Guido Barbujani, professore di Genetica all’Università di Ferrara, si occupa col suo gruppo dell’analisi del Dna in popolazioni moderne e antiche e, dicono le schede biografiche, di “biodiversità umana”. Eccola qua la parola chiave, che siamo abituati a sentire usata per animali e piante, ma che indica una condizione di grandissima frequenza tra gli uomini e tale da riservare non poche sorprese (a ulteriore scorno di rigurgiti razzisti parascientifici).
Procedendo con ordine, si è partiti da un’immagine di Aristotele e Platone: nella loro Grecia il mondo si divideva in “noi” e i “barbari”, termine con radice comune al verbo “balbettare”, come balbettante era considerato con spregio il loro modo di comunicare. Una divisione in due molto diffusa in altre civiltà. Dunque due le razze esistenti per molti e per molto tempo. “Venendo agli ultimi due secoli mezzo, di tracciare i confini tra le persone si è incaricata la scienza, facendo un gran brutto lavoro”, ha detto il professor Barbujani. Decidendo di soffermarsi sul “Manifesto degli scienziati razzisti” del 1938 e sul suo decalogo per illustrarne le contraddizioni interne. Dopo la tassativa affermazione “Il concetto di razza è assolutamente biologico” al punto 4 si parla di “ariani” intesi come razza (“e qui si arriva a comprendere popolazioni fino a gran parte dell’Asia”), poi dell’esistenza di “una pura razza italiana”, infine finiamo appartenenti a una “razza europea”.
“Quanta confusione! Ma si trattava pur sempre di scienziati, qualcosa c’era all’origine di questa confusione”. Comincia qui il viaggio del docente ferrarese attraverso le epoche. “E’ vero, 40mila anni fa qui c’erano gli europei e allora avrebbero potuto essere ben distinti dagli africani. Ma poi si sono estinti. Erano gli uomini di Neanderthal, che sapevano cucinare, curarsi l’un l’altro, avevano un cervello grande come il nostro, ma una struttura scheletrica diversa da noi. Al loro posto, più recenti, troviamo scheletri dalla forma come la nostra, cranio compreso, classici scheletri di africani. Antenati che, prese le mosse dall’Africa orientale, attraverso la Palestina trovarono condizioni più favorevoli e arrivarono in tutta Europa, e poi oltre”. Perentoria come quella iniziale la conclusione: “Oggi sulla Terra abitano solo africani”.
Però, come sappiamo tutti, ci sono volti bianchi, orientali, neri, gialli al mondo con tratti somatici ben diversi. Razze diverse, dunque?
Guido Babujani torna alla storia per rispondere. Dal primo ‘700 con Linneo passando per Buffon, per Kant e tanti altri pensatori fino a oggi – o l’appena ieri – si sono stilati innumerevoli “cataloghi” delle razze. Partendo da 2 si è arrivati a catalogarne 200. Il primo a capire come stanno davvero le cose fu l’antropologo Frank Livingston che nel 1961 affermò: non esistono le razze, ma c’è un continuo di differenze tra le persone. Senza salti o fratture, dunque. Solo biodiversità. Questa è la regola insita oggi in ogni popolazione: ciascuna include un tasso molto ampio di diversità genetica, tanto che due appartenenti alla stessa gente possono risultare all’esame del Dna diversissimi tra loro. E più simili, a volte, a persone dai tratti somatici differenti.
L’esempio è più che illustre e paradossale. Barbujani mette in scena i due pionieri del Dna, James Watson, premio Nobel per averlo scoperto, e Craig Venter, che ha decodificato tutto il genoma umano. Ambedue hanno reso pubblico il loro Dna completo e così ha fatto, per parte sua, un coreano di nome Kim (“nome non indicativo, tutti i coreani si chiamano Kim”). “Ebbene è risultato che l’uomo dagli occhi a mandorla è più simile a Watson da una parte e a Venter dall’altra di quanto non siano i due americani bianchi tra loro”. Con i suoi scoppiettanti esempi Barbujani ha proseguito: “I due uomini più differenti tra quelli studiati finora sono risultati due boscimani”. Conclusione a effetto con una grande foto di Obama e la scritta: di che razza è quest’uomo? “Nell’800 non avrebbero saputo classificarlo, figlio di un africano e di una donna del Kansas. Comunque nel suo Dna non è nero”. E pescando una battuta dalla politica: “Spero nessuno si arrischi a dire che è abbronzato”.
Serena Zoli