Non bastano i controlli verbali di identificazione del paziente, occorre un supporto che garantisca sicurezza a prova d'errore. Obiettivo possibile con nuove tecniche che però hanno un costo che non tutti gli ospedali riescono ad affrontare
I recenti casi di errori nelle trasfusioni di sangue, ripropongono il problema sulla sicurezza di questa terapia medica, che corrisponde a un trapianto. «L’infusione di sangue da donatore in un paziente - dice Giuseppe Aprili, direttore del dipartimento di medicina trasfusionale dell’azienda universitaria di Verona - significa introdurre nel corpo un liquido con cellule vive che possono dare reazioni diverse e sconosciute, anche gravi. La compatibilità tra i gruppi sanguigni è quindi necessaria, ma la reazione avversa è sempre in agguato e per questo sia il medico sia l’infermiera devono restare al capezzale del malato nei primi dieci minuti della trasfusione per verificare il buon andamento della terapia».
IL MEDICO TRASFUSIONISTA
Un’azione medica straordinaria, quindi, spesso sottovalutata, che rischia di trasformarsi, a causa di un errore commesso nel corso della filiera, in un tragico evento. In pratica la sicurezza è garantita da operazioni di controllo, che devono essere eseguite dagli operatori della trasfusione. «Non si può demandare ad altri la verifica dei parametri - spiega Claudio Velati, presidente della Società italiana di medicina trasfusionale (SIMTI) e primario di medicina trasfusionale all’ospedale Maggiore di Bologna -. La check list deve essere fatta dall’operatore, proprio come succede per il pilota di un aereo, che deve controllare personalmente i parametri del volo del quale è responsabile. Ogni anno vengono fatte in Italia 3 milioni di trasfusioni e per evitare gli errori è opportuno che i controlli siano incrociati».
I RISCHI DEL SANGUE
L’errore trasfusionale rappresenta oggi uno dei rischi più grossi che si corrono durante una trasfusione di sangue, molto più grande del rischio infettivo, che, diversamente da come viene percepito dall’opinione pubblica, è attualmente divenuto molto raro. Perché nel terzo millennio può ancora capitare di morire per una trasfusione? Non sono sufficienti le procedure di identificazione della sacca e di riconoscimento del paziente? «Gli errori di scambio del paziente o del sangue da trasfondere – dice Pietro Bonomo, direttore servizi trasfusionali dell’Azienda sanitaria provinciale di Ragusa - sono inevitabili in quanto insiti alla natura umana, a meno che non si adottino cambiamenti significativi nelle procedure, che comprendano l’utilizzo di strumenti elettronici informatici. Tali strumenti permettono di eseguire le operazioni di identificazione del paziente e delle unità da trasfondere in maniera obiettiva e segnalano gli errori in cui possono incorrere gli operatori sanitari».
L’ESPERIENZA DI RAGUSA
Dal 2007 negli ospedali dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Ragusa viene utilizzato un sistema elettronico che permette con il rilevamento dell’impronta digitale (modalità approvata dal garante per la privacy) di riconoscere i pazienti che devono essere sottoposti a trasfusione e gli operatori sanitari coinvolti. Il sistema riconosce inoltre le unità di sangue assegnate dal Servizio Trasfusionale a ciascun paziente attraverso la lettura di codici a barre riportati sulle etichette delle sacche di sangue. Poco prima della trasfusione gli operatori vengono avvisati dell’esatta corrispondenza di tutte le informazioni rilevate e ricevono il via libera alla trasfusione. In caso di errore di identificazione del paziente o delle unità di sangue da trasfondere il sistema emette un segnale di allarme impedendo all’operatore di dare seguito alla trasfusione.
I RISULTATI
«A Ragusa in 6 anni sono state eseguite circa cinquantacinquemila trasfusioni, senza che si sia verificato alcun incidente trasfusionale - aggiunge Francesco Bennardello, responsabile Qualità dei Servizi trasfusionali di Ragusa e consigliere Nazionale Società Italiana di Medicina Trasfusionale ed Immunoematologia (SIMTI) -. I dispositivi elettronici utilizzati a letto del paziente sono riusciti a rilevare gli errori». «Nonostante diverse raccomandazioni, linee guida e norme nazionali ne suggeriscano l’utilizzo, - precisa Velati - questi sistemi fanno ancora fatica ad imporsi e sono ancora pochi gli ospedali che li hanno adottati in maniera sistematica».
POCHI OSPEDALI
La tecnologia, quindi, oggi appare lo strumento più idoneo per garantire la sicurezza della trasfusione, ma finora è stata riservata al percorso di produzione della sacca trasfusionale, mentre quando la sacca lascia il reparto di produzione segue percorsi diversi a seconda delle strutture sanitarie che adottano diversi sistemi di controllo. La tecnologia menzionata, infatti, ha un costo e non tutti gli ospedali si vogliono accollare nuove spese, particolarmente in questo momento di spendig review. Sono, infatti, soltanto una cinquantina le strutture sanitarie in Italia che dispongono di supporto tecnologico alla trasfusione con o senza impronta digitale e gran parte di queste sono dislocate in Lombardia e in Sicilia.