Questo il parere degli specialisti. L’epidemia in corso in Africa è la più vasta e aggressiva della storia. Mai prima d’ora il virus si era propagato a grande distanza dal focolaio di partenza
L’ebola in Italia? «È altamente improbabile, anche perché le precedenti epidemie non si sono mai estese oltre un raggio di poche decine di chilometri dal punto di propagazione», afferma Massimo Galli, ordinario di malattie infettive all’Università di Milano e portavoce di un’opinione unanime tra gli specialisti della Penisola. «Siamo di fronte all’ondata più aggressiva della storia - spiega Maria Rosaria Capobianchi, direttore del laboratorio di virologia dell’Istituto nazionale per le malattie infettive “Lazzaro Spallanzani” -, ma le possibilità che arrivi in Italia sono remote, per un semplice motivo: il nostro paese non ha voli diretti che lo collegano alla Liberia, alla Guinea e alla Sierra Leone. Sono questi i tre stati finora colpiti e i profughi che partono da lì ci mettono più di tre settimane per raggiungere l’Italia. A quel punto il periodo di incubazione del virus è alle spalle». Difficile, invece, che siano i nostri connazionali a raggiungere queste mete, mai entrate nei circuiti turistici. Per evitare azzardi, però, meglio non viaggiare nelle nazioni coinvolte.
EPIDEMIA RECORD
Sulle quasi 1800 persone colpite dal virus, da marzo a oggi, ne sono morte più della metà. È questo tasso di letalità senza precedenti a preoccupare, più della diversa diffusione della malattia rispetto al passato. Tutte le precedenti epidemie di ebola, infatti, avevano interessato l’Africa subequatoriale orientale, mentre adesso il virus sta mietendo vittime in nazioni che s’affacciano sull’Atlantico. Ciò nonostante, escludendo i diversi allarmi apparsi sulla stampa generalista, il rischio ebola in Italia appare molto contenuto e tale rimarrà a meno che non si dovessero riscontrare casi di malattia nei paesi europei - Francia e Inghilterra - collegati a Liberia, Guinea e Sierra Leone.
Da lì, a quel punto, il tragitto sarebbe molto più breve, anche se il ministero della Salute ha già fatto sapere di «aver rafforzato le misure di sorveglianza nei punti di ingresso internazionali e di aver dato indicazioni affinché il rilascio della libera pratica sanitaria alle navi che nei 21 giorni precedenti abbiano toccato uno dei porti dei Paesi colpiti avvenga solo dopo verifica della situazione sanitaria a bordo». Nulla, però, che permetta di dormire sonni tranquilli: in Spagna è arrivato un missionario colpito dalla malattia in Liberia e il virus ha fatto la prima vittima anche in Arabia Saudita. Per la prima volta i confini della malattia si sono estesi oltremisura.
LE CARATTERISTICHE
Il virus, per cui non esistono profilassi e terapie efficaci, si trasmette tra esseri umani attraverso il contatto con sangue e altri fluidi biologici infetti. Nessuna possibilità che viaggi per via aerea o sfruttando gli insetti come “vettori”. L’origine dell’attuale epidemia non è nota, ma i sospetti riguardano soprattutto la cacciagione locale: probabile fonte primaria dell’infezione. Dalle indagini è emerso invece come la maggior parte dei “casi secondari” avesse partecipato a cerimonie funebri: entrando in contatto con pazienti deceduti o persone infette. L’infezione si manifesta con una gamma di sintomi quali febbre, vomito, diarrea e, talvolta, emorragie interne ed esterne. Le morti, finora, sono arrivate nel giro di pochi giorni.
LA SPERANZA IN UN SIERO?
Così, da infezione pressoché rara, oggi l’ebola è divenuta un problema di sanità pubblica mondiale. In assenza di antidoti comprovati, nei giorni scorsi i due pazienti statunitensi colpiti dal virus sono stati trattati con un siero dal contenuto “top-secret”, finora testato con risultati soddisfacenti soltanto sulle scimmie: colpite dal virus e sopravvissute in seguito al trattamento somministrato entro ventiquattro ore dal contagio. Secondo la Cnn, che per prima ha riportato la notizia, Il composto sarebbe un «anticorpo monoclonale di tre topi», creato in laboratorio esponendo alcuni topolini a frammenti del virus ebola. Il funzionamento del siero consisterebbe nel prevenire l’ingresso del l’agente virale in nuove cellule dell’organismo, in modo da impedire la diffusione dell’infezione nel corpo. Il test è stato eseguito secondo il protocollo dell’atto compassionevole della Food and Drug Administration, che in casi eccezionali permette l’accesso a farmaci sperimentali al di fuori di test clinici.
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).