Un gruppo di ricercatori pisani ha analizzato tutti gli studi sulle coltivazioni da 21 anni a questa parte. Risultato? Produzioni superiori e nessun rischio aggiuntivo per l'uomo e l'ambiente
Il mais geneticamente modificato - con l'inserimento di un gene che, attraverso la produzione di una tossina, danneggia gli insetti che cercano di nutrirsene - non è dannoso: né per la salute dell'uomo né per quella dell'ambiente. E - aspetto da non trascurare - risulta maggiormente produttivo. Risultano decise le conclusioni di un'ampia metanalisi firmata da quattro ricercatori italiani (Università di Pisa e Scuola Superiore Sant'Anna) e pubblicata sulla rivista Scientific Reports. «I risultati ottenuti sono molto robusti, anche perché gli studi passati in rassegna sono stati soltanto quelli autorevoli, in cui eventuali fonti di finanziamento appaiono in maniera comunque sempre molto chiara», afferma l'agronoma Laura Ercoli, vicedirettore dell'Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa e co-autrice della pubblicazione. L'indagine riassume le conclusioni rilevabili ventuno anni dopo l'introduzione della prima coltivazione nel mondo di mais Ogm: l'unica autorizzata in Europa ma di fatto portata avanti soltanto in Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania.
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NESSUN RISCHIO AGGIUNTIVO DAL MAIS TRANSGENICO
La coltivazione di mais transgenico presenta produzioni superiori, contribuisce a ridurre la presenza di insetti dannosi e contiene percentuali inferiori di sostanze tossiche che contaminano gli alimenti e i mangimi animali. Nella metanalisi sono stati inclusi studi condotti in pieno campo negli Stati Uniti, in Europa, Sud America, Asia, Africa e Australia. Il confronto è stato effettuato tra le varietà transgeniche con quelle parentali non transgeniche. È così emerso che il mais Ogm è notevolmente più produttivo (dal 5,6 al 24,5 per cento), non ha effetto sugli organismi «non-target» (ovvero non bersaglio della modificazione apportata al Dna) e contiene concentrazioni minori di micotossine (-28,8 per cento) e fumonisine (-30,6 per cento) nei chicchi del mais. Da questo ultimo rilievo è stato possibile escludere conseguenze per la salute umana, dal momento che si tratta di sostanze contaminanti contenute negli alimenti e nei mangimi e responsabili di fenomeni di tossicità acuta e cronica. Non sono invece stati misurati gli impatti sulle comunità microbiche e di artropodi viventi nel sottosuolo, «perché i dati disponibili non erano sufficienti», aggiunge Ercoli. Oltre alla composizione chimica del mais: e dunque il valore nutrizionale.
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MAIS OGM: PERCHE'?
Perché in Italia si dibatte molto di Ogm? «Perché nel nostro Paese, dove non è consentita questa coltivazione, la resa di mais del pari a 93 quintali per ettaro - dichiara Roberto Defez, direttore del laboratorio di biotecnologie microbiche all’Istituto di bioscienze e biorisorse del Cnr di Napoli e blogger della Fondazione Umberto Veronesi -. La Spagna, con terreni molto simili coltivati con Ogm, ne produce oltre 110 quintali: a parità di unità di misura. C’è anche un danno qualitativo, se si pensa che oltre la metà del mais raccolto in Italia negli ultimi anni non è risultato commercializzabile per l’uomo: a causa dell'elevata presenza al suo interno di fumonisine, tossiche per l’esofago e per il sistema nervoso centrale». Senza trascurare che, per tutte queste ragioni, il nostro Paese da anni importa più di un terzo del mais di cui ha bisogno (sopratutto in zootecnia): oltre cinque milioni di tonnellate ogni anno, per una spesa che supera il miliardo di euro. Difficile dire quanto di questo sia geneticamente modificato, che a prescindere dalle quantità viene comunque usato per alimentare vacche e maiali da cui poi produrre carne, salumi e insaccati che finiscono tanto sulle nostre tavole quando rivenduti come eccellenze gastronomiche italiane in altri Paesi.
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COSA PUO' ACCADERE ADESSO?
L’unica varietà di mais Ogm coltivabile in Europa prevede l’inserimento di un gene del batterio bacillus thuringiensis all’interno del Dna della pianta. Il prodotto finale è una proteina che si attiva nell’intestino di alcuni insetti, tra cui la piralide, responsabile della distruzione di quasi il dieci per cento del raccolto annuale di mais nel mondo, con evidenti ripercussioni anche nella pianura Padana. Secondo tutti gli autori - oltre a Laura Ercoli: Elisa Pellegrino, Stefano Bedini e Marco Nuti - «lo studio ha riguardato esclusivamente l'elaborazione rigorosa dei dati scientifici e non l'interpretazione politica dei medesimi». Ragion per cui, sulla base di informazioni che sintetizzano i dati raccolti in 21 anni di coltivazioni Ogm nel mondo, «i dati aiutano ad aumentare la fiducia del pubblico nei confronti del cibo prodotto con piante geneticamente modificate». Concorde è pure Defez: «Il valore aggiunto di questo studio è dato dai numeri e dalla scelta di confrontare piante di mais della stessa linea, cosa che invece non è avvenuta in molte ricerche che hanno poi portato a conclusioni differenti, meno solide sul piano scientifico». Oggi la coltivazione di mais geneticamente modificato è seconda nel mondo tra quelle Ogm, alle spalle della soia: primeggiano gli Stati Uniti, seguiti dal Brasile, dall'Argentina e dal Canada. Su 185 milioni di tonnellate di mais prodotte ogni anno nel mondo, più di un terzo è transgenica. Eppure il divieto di coltivazione vige in 28 Paesi: di cui 19 in Europa, tra cui l'Italia. Non è però proibita l'importazione di alimenti o farine prodotte a partire da mais geneticamente modificato.
Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).