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Cardiologia
Caterina Fazion
pubblicato il 23-03-2023

Le visite sportive riducono le morti cardiache improvvise



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Più di 22.000 giovani atleti monitorati in un recente studio sulla prevenzione delle morti cardiache: quante vite salva il modello di screening italiano con la prova da sforzo?

Le visite sportive riducono le morti cardiache improvvise

Le visite medico-sportive sono svolte annualmente nei soggetti che praticano attività agonistica per individuare chi è a rischio di essere colpito da arresto cardiaco. Per prevenire le morti improvvise, quanto è utile il modello italiano che, rispetto ad altri paesi, prevede visite ripetute a cadenze regolari con tanto di prova da sforzo? 

A rispondere a questa domanda ci ha pensato uno studio italiano che ha monitorato nel tempo oltre 22.000 giovani atleti. Cosa è emerso? Quante vite si possono salvare?

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LO STUDIO

Nella ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica European Heart Journal, la Medicina dello Sport dell’Ulss 2 di Treviso, Centro di riferimento regionale per lo sport nei giovani con cardiopatie, ha monitorato 22.324 giovani atleti trevigiani nell’ambito di uno studio in collaborazione con l’università di Padova . I ragazzi, tra i 7 e i 18 anni, sono stati sottoposti a 65.397 valutazioni mediche nel corso degli anni.

«I vari screening – spiega il professor Alessandro Zorzi, cardiologo del dipartimento di Scienze toraco-vascolari e Sanità pubblica all’Università di Padova – hanno perlopiù individuato patologie del muscolo e del sistema elettrico del cuore, forme aritmiche ventricolari gravi e cardiopatie congenite nei soggetti a rischio di “morte improvvisa”. Un dato molto importante emerso dallo studio è che ben il 74% delle patologie cardiovascolari che presentano tale rischio sono state diagnosticate in bambini e ragazzi con meno di 16 anni. Grazie al modello di screening italiano, che ha escluso per questi ragazzi la possibilità di praticare sport, sono state potenzialmente salvate le vite di 69 giovani atleti. Su 22.324 sportivi valutati, infatti, uno soltanto è stato colpito da arresto cardiaco durante l’attività sportiva, ed è sopravvissuto grazie alla rianimazione cardiopolmonare con l'uso del defibrillatore. Questo è un caso molto complesso perché nonostante i tanti esami eseguiti non è stato ancora possibile individuare la causa dell’arresto cardiaco».

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I VANTAGGI DEL MODELLO ITALIANO

Il modello di screening italiano, tra elogi e contestazioni, presenta molteplici differenze rispetto ad altri attuati all’estero. Sono almeno quattro i vantaggi emersi dallo studio. Scopriamo quali sono.

«Un dato che emerge dallo studio - illustra il professor Zorzi - è il ruolo fondamentale della prova da sforzo che in Italia viene eseguita sempre durante la visita medico-sportiva, mentre all'estero di solito ci si ferma all'ettrocardiogramma (ECG) a riposo. Nel nostro studio si dimostra che la prova da sforzo, in particolare per la valutazione delle aritmie, ha consentito di sospettare una patologia cardiaca in diversi giovani sportivi con ECG di base normale e che sarebbero altrimenti sfuggiti. Questo dato sottolinea ulteriormente come il modello italiano di screening, grazie anche alla sua periodicità, non sia secondo a nessuno e meriti di essere promosso ed esportato all’estero. Inoltre, in Italia vengono fatti accertamenti extra cardiologici che fanno sì che le visite sportive, quando ben fatte, rappresentino un intervento di salute generale, permettendo di diagnosticare altre patologie come scoliosi, difetti della vista o problematiche urinarie. Infine, il modello italiano prevede un giudizio di idoneità vincolante per lo sportivo: se non lo ottiene non potrà praticare attività sportiva, cosa che, pur comportando un limite nel processo di autodecisione dei singoli, si è rivelato utile al fine di prevenire le morti cardiache».

 

OLTRE LA DIAGNOSI

Dallo studio sono emerse più di un centinaio di diagnosi di anomalie meno gravi, non a rischio di morte improvvisa come aritmia benigna o ipertensione lieve, per cui possono esistere terapie. Anche in questo caso i ragazzi devono rinunciare allo sport?

«In questo caso il ragazzo non viene per forza escluso dall'attività agonistica – chiarisce il professor Alessandro Zorzi –, ma vengono fornite terapie e raccomandazioni da seguire».

Anche in caso di diagnosi di patologie maggiori a rischio di morte improvvisa, e che dunque impediscono ai ragazzi di praticare sport agonistico, il centro di Treviso ha da alcuni anni iniziato un nuovo programma, chiamato “Il secondo tempo di Julian Ross”. In questo modo i giovani sportivi non vengono “abbandonati”, ma continuano a essere seguiti dall’équipe di specialisti, che offre loro l’opportunità di avere tutte le informazioni necessarie per continuare in sicurezza un’attività fisica non agonistica più indicata alla loro nuova condizione clinica. 

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Caterina Fazion
Caterina Fazion

Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile


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