Non esistono dei criteri diagnostici per definire la dipendenza da social network. A «L'Ora della Salute» i consigli per i genitori. Perché è l'educazione digitale a fare la differenza
Sono 2,5 miliardi le persone (più di 1 su 3) nel mondo che ogni giorno si «muovono» sui social network (Facebook, Twitter, Instagram, LinkedIn, Snapchat), dedicando a essi un tempo che può essere compreso tra pochi minuti e diverse ore. Un modo di fare che ha cambiato le nostre abitudini e che oggi sta dando lavoro anche pediatri, pedagogisti, piscologi e psichiatri. Il loro obbiettivo è cercare di capire quale impatto questo utilizzo dei social network - in alcuni casi eccessivo - possa determinare sulla nostra salute.
DEPRESSIONE: COSI' SI PUO' GUARIRE
«MALATI» DI TECNOLOGIA?
Il tema sarà al centro della prossima puntata («Malati di tecnologia») de «L'Ora della Salute», in onda domenica alle 12,50, su La7. Se l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito i criteri per la dipendenza da videogiochi, lo stesso non è ancora stato fatto nei confronti dei social network. Anche in questo caso è possibile (e corretto) parlare di una forma di dipendenza? «Non abbiamo ancora dei criteri diagnostici ad hoc - anticipa lo psicoterapeuta Matteo Lancini, presidente della Fondazione Minotauro e docente all'Università di Milano-Bicocca, che sarà ospite nello studio di Annalisa Manduca -. Trascorrere 5-6 ore al giorno davanti al pc o al monitor di un cellulare o di un tablet non basta a definire un ragazzo malato. Ma è chiaro che in questo momento non si può più chiudere gli occhi di fronte a questo tema. I giovani vanno educati a un consumo digitale equilibrato: la loro vita oggi si snoda soprattutto attraverso lo schermo di un telefono». Un messaggio che punta ad arrivare soprattutto alle orecchie dei genitori, molti dei quali continuano a interrogarsi su quale sia l'atteggiamento più corretto da tenere nei confronti dei propri figli. «I divieti categorici non servono - prosegue l'esperto -. La vita virtuale, per i giovani appartenenti alla Generazione Z, corrisponde alla vita reale. Tocca a mamme e papà impostare un modello educativo che preveda anche il rapporto con i social network».
ATTENZIONE AL RITIRO SOCIALE
Un lavoro che va imbastito durante l'infanzia, per fare in modo che possa poi fare la differenza nel corso dell'adolescenza. Diversamente, una volta che il problema di un utilizzo eccessivo è già tra le mura di casa, intervenire è molto più difficile. Cosa può succedere a questi ragazzi? Le possibili conseguenze (già emerse) vanno dall'alterazione del ciclo sonno-veglia al mutare della condivisione sociale offline. Fino al modificarsi di alcuni tratti caratteriali. «È il caso di quelli che definiamo ritirati sociali, i giovani che si chiudono in casa - prosegue Lancini -. Nel nostro Paese se ne contano oltre centomila: prevalentemente maschi, che nei casi più gravi si isolano anche dalla loro vita sui social». Secondo uno studio appena pubblicato sul Journal of Behaviour Addictions, all'aumentare del tempo trascorso sui social network, cresce la difficoltà nel prendere decisioni. Una reazione comune a quella che si osserva nei tossicodipendenti e nei giocatori d'azzardo patologici. «Il nostro è solo un punto di partenza - hanno messo in guardia i ricercatori della Michigan State University -. Vista la diffusione dell'utilizzo dei social media, occorre capire se fruizioni eccessive possano innescare una dipendenza».
ADOLESCENTI, SESSO E WEB
Nel corso della puntata si parlerà anche di come un rapporto distorto con i social network possa condizionare la sessualità dei più giovani. «Sempre più spesso le prime esperienze degli adolescenti maturano attraverso i social netowrk», è il pensiero di Marina Ruspa, ginecologa del centro di riferimento per i problemi della violenza alle donne e ai minori della Fondazione Ca' Granda - Ospedale Maggiore Policlinico di Milano. Alcune statistiche fornite dalla procura dei minorenni meneghina parlano di un utilizzo dei siti porno da parte del 65 per cento dei ragazzi di età compresa tra i 15 e i 16 anni. «Rispetto al passato, ci capita più spesso di ricevere ragazzine che hanno subito violenza da uomini conosciuti in chat, talvolta molto più grandi di loro», prosegue l'esperta. Secondo un'indagine condotta nel 2018 da Amnesty International, una donna su tre subisce molestie online a cadenza quotidiana. «Vero è che sanno usare meglio di noi la tecnologia, ma l'ingenuità fa ancora parte della loro vita». Bisogna illustrare loro i rischi legati alla condivisione di testi e immagini espliciti, di cui si perde inevitabilmente il controllo nel momento in cui arrivano sullo smartphone di un'altra persona».
LE POTENZIALITA' DELLA TECNOLOGIA
Non tutta la tecnologia, naturalmente, vien per nuocere. Per questo, nella seconda parte, si parlerà di telemedicina e dei software che oggi rendono più semplice la vita dei pazienti. In particolare, sarà descritta l'esperienza di
«SM social network», portale messo a punto dalla clinica neurologica dell'Università della Campania Luigi Vanvitelli per creare una rete tra i malati di sclerosi multipla. Spazio sarà dedicato anche a «Mastermind», il progetto di telepsichiatria della Asl Torino 3.
Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).