Uno studio dimostra che l’uomo riesce a custodire meglio nel tempo le menzogne riguardanti esperienze mai vissute rispetto ai racconti di episodi accaduti realmente
«Un bugiardo deve sempre avere una buona memoria», diceva già duemila anni fa il celebre oratore romano Quintiliano. Asserzione sicuramente inconfutabile, per chi vuole evitare spiacevoli gaffe. Ci vuole impegno per mentire e fuggire al controllo: del partner, di un amico o semplicemente di chi ci ritiene colpevoli di un reato. Oggi, però, sappiamo che non tutte le bugie vengono partorite allo stesso modo.
LE BUGIE - Differenti tipi di bugie possono intaccare la nostra memoria e la capacità di ripeterle nel tempo senza cambiarle di una virgola. È quanto hanno notato alcuni ricercatori del dipartimento di psicologia dell’Università della Louisiana che hanno osservato i comportamenti di venticinque ragazzi non ancora laureati a cui è stato chiesto di osservare diverse immagini e di ripetere, successivamente, le loro caratteristiche: mescolando verità e bugie durante la descrizione. Quarantotto ore più tardi, dopo aver provato a più riprese a ricostruire quanto visto in maniera reale e artefatta, gli stessi (che durante le prove erano stati registrati) hanno testato la loro capacità di memoria. Dai risultati, pubblicati su Journal of Applied Research in Memory and Cognition, è emerso che i partecipanti avevano una buona abilità nel ricordare le descrizioni artefatte di oggetti mai visti. Al contempo, però, la memoria era meno ferrea nel ricostruire le esatte caratteristiche di un’immagine visionata appena due giorni prima. Sembrava più attendibile il resoconto inventato rispetto a quello di un evento vissuto e raccontato in maniera alterata.
COME CAMBIA LA MEMORIA - Il risultato di questo studio dimostra che è il tipo di bugia detta a condizionare l’accuratezza della capacità di giudizio. Paradossalmente è più facile mantenere la costanza nella ricostruzione di un evento mai visto e raccontato in maniera bugiarda che alterare il ricordo di un’esperienza comunque vissuta e poi illustrata in maniera differente. «Lo studio ha evidenziato come mentire con costanza accresca la capacità di travisare un’esperienza, al punto da rendere la memoria “artefatta” più fluente - spiega Kathleen Vieira, docente di psicologia cognitiva all’Università della Louisiana -. Nonostante le diverse situazioni che si vivono tra un esperimento e un momento della vita reale in cui ci si mente, le bugie possono essere ricordate più facilmente, anche a distanza di tempo, se riguardano un fatto mai vissuto o un oggetto mai visto, con un effetto amplificato dal numero di volte in cui la bugia è stata ripetuta».
Fabio Di Todaro
@fabioditodaro