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Agnese Collino
pubblicato il 30-07-2017

Metastasi: non sempre opera di una singola cellula



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In alcuni contesti le cellule cancerose migrano in altre parti del corpo in gruppo: Alberto Puliafito punta a studiarne il meccanismo per capire se tumori con queste caratteristiche siano più aggressivi

Metastasi: non sempre opera di una singola cellula

Uno degli aspetti che peggiora notevolmente la prognosi associata ad un tumore è costituito dalla capacità di metastatizzare, e cioè di disseminare cellule malate nell’organismo. Quello che non molti sanno è che le cellule tumorali possono migrare sia individualmente che collettivamente, possono in altre parole spostarsi anche sottoforma di veri e propri aggregati multicellulari. Oltre alla capacità di migrare, alcune cellule cancerose hanno la possibilità di secernere molecole che agiscono da richiamo, in modo da orientare la migrazione di altri gruppi di cellule verso di loro. Alberto Puliafito lavora all’Irccs di Candiolo (Torino) dove, grazie a un finanziamento della Fondazione Umberto Veronesi, indaga proprio il fenomeno della migrazione collettiva e direzionale di cellule tumorali durante la metastatizzazione. L’obiettivo alla base del suo progetto è verificare se questa modalità di migrazione rappresenti una strategia di disseminazione più efficace rispetto a quella di singole cellule metastatiche o di una migrazione non orientata, e di valutarne quindi l’eventuale impatto sulla prognosi.


Alberto, ci diresti qualcosa di più sulla tua ricerca?

«Secondo alcuni nostri risultati preliminari, alcune cellule mostrano un comportamento particolare: crescono formando aggregati multicellulari i quali si muovono gli uni verso gli altri fino a formare strutture sempre più grandi. Questa modalità di migrazione è diffusa anche fra cellule non tumorali, e può quindi rappresentare un vantaggio per le cellule cancerose, poiché potrebbe consentire di evitare alcuni meccanismi di protezione messi in atto dall’organismo. Il mio progetto vuole capire se questa modalità possa rappresentare un qualche tipo di vantaggio selettivo per alcuni tumori. A questo scopo verranno impiegate colture cellulari modificate geneticamente per indurre artificialmente la migrazione collettiva direzionale, e opportuni trattamenti farmacologici per interferire nel processo e vedere cosa succede. Verrà inoltre utilizzati campioni derivati da pazienti, per valutarne la capacità di migrare in modo collettivo e direzionale e trovare dunque una correlazione tra corredo genetico e comportamento. In maniera complementare all’approccio sperimentale mi occuperò di descrivere il movimento di questi aggregati sfruttando l’analogia con modelli fisico-matematici di particelle che si aggregano».

 

Quali prospettive potrà quindi aprire il tuo lavoro per la salute umana?

«La possibilità di affiancare tecniche di microscopia, modellistica matematica e biologia sperimentale consente di descrivere in maniera puntuale la dinamica del tumore, ovvero il modo in cui partendo da poche cellule si può creare una lesione o una massa tumorale più grande e dunque pericolosa. Questo approccio integrato potrà quindi contribuire a far luce sulle modalità di migrazione cellulare e sulle eventuali ricadute cliniche, apportando dunque un miglioramento nella capacità di valutazione prognostica delle masse tumorali».

 

Sei mai stato all’estero a fare un’esperienza di ricerca?

«Ci sono stato diverse volte in diversi momenti: ho svolto il dottorato di ricerca all’Università di Nizza, e ho effettuato periodi di studio al Los Alamos National Laboratory nel New Mexico. Ho poi trascorso un periodo di post-dottorato all’University of California Santa Barbara e un secondo post-dottorato in Francia, all’Institut Pasteur di Parigi».

 

Cosa ti ha spinto ad andare?

«La voglia di frequentare posti dove si facesse scienza ad alto livello e dove potessi imparare e sfruttare conoscenze e infrastrutture locali. Credo che la scienza sia davvero senza frontiere geografiche».

 

Cosa ti piace di più della ricerca?

«La libertà dell’intelletto e la possibilità di studiare problemi interessanti».

 

E cosa invece eviteresti volentieri?

«A volte è scoraggiante avere pochi risultati».

 

Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?

«L’attività di un contadino: di chi semina pazientemente, con rigore e con fatica, e attende. A volte un imprevisto distrugge completamente il raccolto, ma quando si raccoglie è gioia piena».

 

Cosa avresti fatto se non avessi fatto il ricercatore?

«Credo probabilmente l’educatore, o a ogni modo una professione sociale».

 

Se dovessi scommettere su un aspetto della ricerca biomedica che fra 50 anni avrà prodotto un concreto avanzamento, su cosa punteresti?

«Sicuramente il fare rete e sistematizzare le informazioni cliniche in modo che possano essere sfruttate efficientemente anche dal punto di vista computazionale. Qualcuno chiama questo filone big- data, anche se è molto riduttivo. Parlo della possibilità di mettere insieme informazioni di vario tipo sulla salute dei pazienti, che possano essere combinate per migliorare il potere diagnostico. Sono inoltre convinto che la ricerca di base abbia molto da dire e l’investimento su progetti di qualità anche senza immediato ritorno applicativo sia una delle soluzioni per non perdere idee preziose di cui a priori è difficile predire l’impatto».

 

Al di là della curiosità scientifica, cos’è che ti spinge a fare ricerca e dà un significato profondo alle tue giornate lavorative?

«Dal punto di vista etico, di sicuro il fatto di lavorare non per l’interesse di qualcuno ma per il progresso dell’umanità in senso lato. Mi trovo in difficoltà a pensarmi in una logica di profitto, e la scienza è la sintesi estrema di questo aspetto. Poi, ovviamente, le giornate sono fatte anche di bassa concretezza…».

 

Hai famiglia?

«Ho tre bimbi, di cui due nati all’estero. Mia moglie mi ha seguito all’estero ed è imprenditrice».

 

Avrai ben poco tempo libero…

«In effetti gran parte del mio tempo libero è dedicato ai miei figli. Inoltre sono un capo scout e seguo un gruppo di ragazzi nella fascia 16-20 anni. Quando riesco poi vado in montagna in bicicletta».

 

Qual è il tuo libro o film preferito?

«Non ho il libro o il film del cuore: ne ho molti a seconda delle fasi della vita. Recentemente ho letto “La Notte” di Elie Wiesel e l’ho trovato bellissimo. Come film adoro quelli di impegno politico sulla storia italiana degli anni ‘70, ‘80 e ’90, ma i bimbi piccoli non mi consentono libertà totale: “Blues Brothers”?».
 

Con quale personalità famosa ti piacerebbe andare a cena una sera? Cosa ti piacerebbe chiedergli?

«Mi piacerebbe incontrare il Papa: penso sia una persona interessante ed illuminata. Vorrei capire cosa pensa di certi aspetti del rapporto fra scienza e fede».


Agnese Collino
Agnese Collino

Biologa molecolare. Nata a Udine nel 1984. Laureata in Biologia Molecolare e Cellulare all'Università di Bologna, PhD in Oncologia Molecolare alla Scuola Europea di Medicina Molecolare (SEMM) di Milano, Master in Giornalismo e Comunicazione Istituzionale della Scienza all'Università di Ferrara. Ha lavorato nove anni nella ricerca sul cancro e dal 2013 si occupa di divulgazione scientifica


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