Le cardiopatie congenite richiedono interventi chirurgici salvavita nei primi giorni di vita di un bambini, ma lasciano spesso danni polmonari e neurologici: Luca Vedovelli studia come riconoscerli
Non tutti sanno che circa l’un per cento di tutti bambini nati presenta difetti cardiaci congeniti e, di questi, un terzo richiede un intervento chirurgico a cuore aperto nei primi giorni di vita. Nonostante i continui miglioramenti in campo chirurgico, anestesiologico e nella gestione post-operatoria abbiano ridotto al tre per cento il tasso di mortalità post-intervento, i danni cerebrali continuano a essere uno dei principali problemi nei pazienti sottoposti ad interventi con circolazione extracorporea. Circa la metà dei bambini affetti da difetti cardiaci congeniti che abbiano affrontato un intervento con circolazione extracorporea mostra anomalie neurologiche o di neuro-sviluppo all’inizio dell’età scolare, con deficit neurocognitivi e addirittura sindromi dello spettro autistico. Inoltre, poco si conosce sull’impatto degli interventi sui polmoni, che sembrano risentire di queste operazioni più di quanto ritenuto in passato. Come valutare il rischio di sviluppare complicazioni dopo questo tipo di intervento chirurgico? Quali strategie adottare? Lo cerca di capire Luca Vedovelli, laureato in chimica e tecnologie farmaceutiche, e ricercatore post-dottorato all’Istituto di Ricerca Pediatrica Città della Speranza a Padova.
Luca, in cosa consiste la tua ricerca?
«Il mio obiettivo è identificare e validare degli efficaci biomarcatori di danni cerebrali e/o polmonari: confrontandole con le caratteristiche degli interventi di pazienti specifici, si potrà identificare quale momento dell’intervento è a maggior rischio di danni. Successivamente vogliamo valutare la capacità di uno o più bio-marker di predire un esito neurologico o di neuro-sviluppo con una serie di test che saranno somministrati ai pazienti a diverse età. Inoltre, ci aspettiamo di notare differenze riconducibili al tipo o alla gravità della patologia cardiaca».
In cosa il tuo approccio è innovativo?
«La novità principale consiste nel tentativo, finora unico, di mettere in relazione marcatori misurati durante l’operazione chirurgica, o immediatamente dopo, con un esito neurologico a medio-lungo termine».
Quali prospettive apre per il trattamento delle cardiopatie congenite?
«Lo scopo finale dello studio è pianificare o suggerire cambiamenti nelle tecniche chirurgiche e anestesiologiche, per migliorare la prognosi e la qualità di vita del bambino sottoposto a chirurgie per difetti congeniti cardiaci».
Perché hai scelto di intraprendere la strada della ricerca?
«La ricerca è stata un’evoluzione naturale della curiosità verso i meccanismi che ho sempre avuto e che i miei genitori, amici e familiari hanno assecondato».
Cosa ti piace di più della ricerca?
«Il processo della scoperta».
E cosa eviteresti volentieri?
«La ricerca continua di finanziamenti. Il ricercatore è un lavoratore particolare: non solo svolge un lavoro, ma si deve cercare anche i soldi con cui pagarsi».
Una figura che ti ha ispirato.
«Carl Sagan, uno tra i più grandi divulgatori dei nostri tempi: il suo libro "Il mondo infestato dai demoni" mi ha profondamente influenzato».
Qual è il senso profondo delle tue giornate lavorative?
«Uso la parole di Horace Mann: “Abbi vergogna di morire solo se non avrai conseguito alcuna vittoria per l'umanità” ».
Pensi che la scienza abbia dei lati oscuri?
«Non credo che la scienza, o meglio, la conoscenza abbia dei lati oscuri. Dipende dal suo utilizzo. Un coltello può salvarti la vita in una foresta ma essere letale in una rapina. Non è colpa del coltello, ma di chi lo usa».
Quando è stata l’ultima volta che ti sei commosso?
«Dopo una decina di giorni dalla nascita di mia figlia quando siamo rimasti soli e mi sono reso conto di cosa avevo in braccio».
Una cosa che vorresti assolutamente vedere almeno una volta nella vita.
«L’aurora boreale».
Una pazzia che hai fatto.
«Fare 8 mila chilometri per dire alla mia futura moglie, all’epoca nemmeno ancora mia ragazza, che ero interessato a lei».
Con chi ti piacerebbe andare a cena una sera e cosa ti piacerebbe chiedergli?
«Albert Einstein, per chiedergli come organizzava i suoi pensieri per arrivare alle intuizioni che ha avuto».
Chiara Segré
Chiara Segré è biologa e dottore di ricerca in oncologia molecolare, con un master in giornalismo e comunicazione della scienza. Ha lavorato otto anni nella ricerca sul cancro e dal 2010 si occupa di divulgazione scientifica. Attualmente è Responsabile della Supervisione Scientifica della Fondazione Umberto Veronesi, oltre che scrittrice di libri per bambini e ragazzi.