Piera Calamita punta a sviluppare farmaci per una malattia genetica rara che predispone ai tumori del sangue, partendo dalle sue caratteristiche genetiche e molecolari
La sindrome di Shwachman-Diamond (SDS) è una malattia genetica rara che in Italia colpisce circa un nato ogni 76mila. I sintomi più comuni, che insorgono fin dalla tenera età, comprendono un’insufficiente funzionalità del pancreas con conseguente scarsa crescita e alterazioni ossee, oltre che gravi disfunzioni del midollo osseo e del sangue tra cui anemia e basso numero di piastrine. I bambini affetti da questa sindrome hanno inoltre un rischio maggiore di sviluppare tumori del sangue come la leucemia mieloide acuta. Questi bambini, oggi, vengono curati con terapie sintomatiche e aspecifiche, che non tengono conto della «firma» genetica della malattia. Inoltre la maggior parte di loro non riesce a sopportare questi farmaci, anche a causa del loro debole sistema immunitario. Con il sostegno del progetto Gold for Kids, Piera Calamita studia le alterazioni genetiche e molecolari coinvolte nella malattia: il suo obiettivo è quello di sviluppare farmaci specifici in grado di ripristinare il corretto funzionamento dei processi cellulari danneggiati.
Piera, raccontaci qualcosa di più della tua ricerca.
«Nel 90% dei pazienti la causa della sindrome di Shwachman-Diamond è una mutazione del gene SBDS, coinvolto nella regolazione della produzione delle proteine, un meccanismo fondamentale per il corretto funzionamento cellulare. Le cellule con un gene difettoso mostrano un’alterazione del metabolismo cellulare e una minor resistenza agli stress ossidativi. Partendo da quest’osservazione, il mio progetto vuole studiare i meccanismi molecolari che sono alla base di questa grave patologia pediatrica».
In che modo la conoscenza di questi meccanismi potrebbe essere utilizzata per la cura dei bambini affetti dalla sindrome di Shwachman-Diamond?
«A oggi le terapie utilizzate per la sindrome di Shwachman-Diamond sono tutte sintomatiche, cioè mirano a sopprimere o attenuare i sintomi, e non colpiscono in maniera specifica e selettiva i meccanismi responsabili della malattia. Lo studio e l’identificazione dei processi molecolari alterati permetterà di progettare farmaci che siano in grado di ristabilire il corretto funzionamento del processo molecolare alterato, causato dalla mutazione del gene. Si avranno in questo modo terapie specifiche e tempestive per i piccoli pazienti».
Sei stata spesso all’estero per fare ricerca. Cosa ti hanno lasciato tutte queste esperienze?
«Andare all’estero per un progetto di ricerca è una missione, il tuo unico obiettivo è imparare il più possibile e tornare con dei buoni risultati. Trascorri la maggior parte del tempo in laboratorio ed è qui che conosci nuove persone, nuove realtà e stringi amicizie. Tutte le mie esperienze sono state estremamente positive, anche se dal punto di vista scientifico qualcuna non ha portato i risultati sperati… ma questa è la ricerca!».
Qual è per te il senso profondo che ti spinge a fare ricerca ogni giorno?
«Sentirmi utile alla società e contribuire nel creare un futuro migliore».
Pensi che ci siano dei lati negativi nella scienza?
«Spesso, quando le persone scoprono che sono un ricercatore, esclamano: “Ah, con i contratti che vi fanno… che coraggio, complimenti!”. Il precariato dei ricercatori è una delle prime cose cui le persone pensano quando si parla di scienza. Tuttavia il dibattito pubblico non può e non deve focalizzarsi solo sulla condizione contrattuale: è necessario far conoscere meglio la figura del ricercatore e l’importanza del suo lavoro».
Cosa pensi delle persone ideologicamente contrarie alle istanze scientifiche?
«C’è un forte bisogno di trasmettere e divulgare le conoscenze scientifiche. I ricercatori hanno il dovere di trasmettere i valori e l’importanza della scienza nella società in cui vivono. Chi è contro i vaccini, o contro la scienza in generale, spesso lo è solo per scarsa o cattiva informazione».
C’è una figura in particolare che ti ha aiutato nella tua vita professionale?
«Un marito straordinario, che crede in me probabilmente più di quanto lo faccia io».
Descriviti con tre pregi e tre difetti.
«Entusiasta, coerente e onesta. Ma anche testarda, troppo idealista e molto esigente».
Rita fuori dal laboratorio: quali sono le tue passioni?
«Viaggiare, sempre, appena posso, ovunque».
Un viaggio che vorresti fare almeno una volta nella vita.
«Vorrei vedere l’aurora boreale».