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Ginecologia
Donatella Barus
pubblicato il 08-01-2020

Nuovi dati su talco e tumori dell'ovaio: nessun legame



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L'analisi di quattro studi su oltre 250.000 donne non ha riscontrato un rischio più alto di tumori dell'ovaio nelle donne che hanno fatto uso di talco. Una lunga storia di polvere, risarcimenti e ricerca

Nuovi dati su talco e tumori dell'ovaio: nessun legame

Usare il talco in polvere aumenta il pericolo di tumore dell’ovaio? La questione ritorna periodicamente all’attenzione generale, talvolta per le notizie di maxi risarcimenti richiesti alle aziende da persone che si sono ammalate, soprattutto negli Stati Uniti. Altre volte, come in questo caso, se ne parla per la pubblicazione di nuovi risultati dal mondo della ricerca, che smentiscono ancora una volta la presenza di un legame, come finora è accaduto negli studi più convincenti. Ma il carcinoma dell’ovaio resta una malattia che spaventa, ancora difficile da curare in molti casi e che non offre molti appigli alle strategie di prevenzione o di diagnosi precoce. Ecco perché gli ultimi dati meritano ancora una volta attenzione.

 

LA RICERCA

È a firma di un gruppo di epidemiologi statunitensi l’ultima revisione di dati dedicati al talco e al carcinoma ovarico. Gli autori hanno lavorato sui dati provenienti da 4 coorti di donne, oltre 250.000 in totale, scoprendo che non ci sono correlazioni significative sul piano statistico fra l’uso dichiarato di polvere di talco e il rischio di ammalarsi di tumore all’ovaio. I risultati sono stati pubblicati su JAMA, la rivista dell'American Medical Association.

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La salute dell'ovaio

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TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI

 

UNA LUNGA STORIA

Il talco è stato usato, soprattutto in passato, per l’igiene e la cosmesi di bambini e adulti, per profumare e tenere asciutte parti del corpo umide, come le aree genitali. Oltre all’uso esterno, molte donne hanno utilizzato il talco su dispositivi da collocare all’interno della vagina, come i diaframmi anticoncezionali. Non c’è solo il famoso borotalco: il talco è utilizzato come componente fondamentale in cosmetici di vario tipo, ma anche in altri settori produttivi, dai materiali per l’edilizia alle pentole. Da dove arrivano le preoccupazioni per una sua eventuale cancerogenicità? Soprattutto dalle miniere da cui il talco viene estratto. A seconda dei giacimenti, infatti, può esserci la presenza di amianto, o asbesto, nota sostanza cancerogena legata a tumori gravi come il mesotelioma della pleura. Da tempo è conosciuta la pericolosità dell’amianto, che è stato messo al bando e che deve obbligatoriamente essere assente da ogni prodotto a base di talco.

 

COSA DICONO LE AUTORITÀ SANITARIE

L’Agenzia per la ricerca sul cancro dell’OMS, l’IARC, ha il compito di analizzare sostanze, agenti o elementi di vario tipo e determinare se aumentano o meno il rischio di cancro. Secondo l’IARC l’amianto è cancerogeno per l’uomo, così come il talco contenente amianto; nel 2010 l’agenzia ha classificato il talco non contenente asbesto nel gruppo 3 (non cancerogeno per l’uomo), collocando in via prudenziale l’uso perineale del talco in polvere nel gruppo 2B (forse cancerogeni per l’uomo).

 

COSA DICE LA RICERCA

Perchè l'IARC non esclude che usare talco in polvere nelle aree genitali possa aumentare il rischio di cancro? Questo perché nel corso dei decenni alcuni studi (non la maggioranza) hanno rilevato un'associazione fra i tumori dell’ovaio e il talco. Si tratta soprattutto di studi cosiddetti caso-controllo, ovvero nei quali sono state esaminate le abitudini di donne colpite dalla malattia, quantificando l’uso di talco in base alle dichiarazioni delle donne coinvolte. Si possono facilmente immaginare le difficoltà sul piano del rigore metodologico: il ricordo può essere influenzato da molti fattori. Altri lavori hanno usato una diversa metodologia: sono stati condotti studi di coorte (come quest’ultima indagine apparsa su JAMA), che hanno seguito le abitudini di un ampio numero di donne per molti anni, registrando fra le altre variabili anche l’uso (sempre dichiarato) di polvere di talco. Solo a posteriori sono stati rilevati i casi di tumori dell’ovaio e si è andati a capire se fra le donne malate ci fosse stato un numero di utilizzatrici di talco più alto della media. La risposta, in questo genere di studi, è stata negativa.

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COSA DICONO I TRIBUNALI

Di tanto in tanto, come si è detto, le cronache giudiziarie d’oltreoceano hanno riportato di cause individuali o collettive contro aziende produttrici di polveri di talco, nello specifico contro il colosso della cosmetica Johnson & Johnson. La logica dei giudici nel ritenere di dover risarcire un danno non è la stessa della ricerca scientifica chiamata a valutare l’esistenza di un rischio oncologico aumentato. Per questo, anche in assenza di prove scientifiche determinanti, alcune sentenze hanno riconosciuto la necessità di risarcire la parte debole (le donne ammalate) e di riconoscere le responsabilità a carico dell’azienda, ad esempio affermando che avrebbe dovuto riportare sul prodotto la possibilità di un rischio anche non accertato. Le cause sono migliaia e le sentenze di risarcimento si alternano a pronunciamenti opposti in appello. Secondo il Los Angeles Times la compagnia si trova a fronteggiare qualcosa come 17.000 cause in cui è accusata di avere nascosto che la “baby powder” fosse contaminata da amianto (vincendone otto e perdendone cinque, solo nell’anno passato).

 

COSA DICE IL BUON SENSO

Concludendo, non c’è ragione di allarmarsi se si è fatto uso di talco. Non si può in nessun modo affermare che il talco privo di amianto rappresenti un rischio aumentato di cancro. Dal momento che ci si deve affidare alla validità dei controlli di qualità sui prodotti e delle buone pratiche di estrazione e lavorazione del talco, si può applicare il principio di precauzione, in armonia con la posizione dell’IARC, evitando di utilizzare prodotti a base di talco nell’area perineale e vaginale.

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Donatella Barus
Donatella Barus

Giornalista professionista, dirige dal 2014 il Magazine della Fondazione Umberto Veronesi. E’ laureata in Scienze della Comunicazione, ha un Master in comunicazione. Dal 2003 al 2010 ha lavorato alla realizzazione e redazione di Sportello cancro (Corriere della Sera e Fondazione Veronesi). Ha scritto insieme a Roberto Boffi il manuale “Spegnila!” (BUR Rizzoli), dedicato a chi vuole smettere di fumare.


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