La somministrazione della molecola nelle persone con nuova diagnosi di diabete 1 sembra preservare la capacità delle cellule beta di produrre insulina. I risultati pubblicati sul New England Journal of Medicine
Nel diabete 1 l'utilizzo di baricitinib, un farmaco in uso per alcune malattie autoimmuni, si è dimostrato utile nel preservare la funzione delle cellule beta del pancreas produttrici di insulina. Il risultato, pubblicato sulle pagine del New England Journal of Medicine, aprirà ora la strada ad un più approfondito studio sull'utilizzo di questa molecola nel tentativo di posticipare il più possibile il ricorso alle iniezioni di insulina.
IL DIABETE DI TIPO 1
Il diabete è una patologia caratterizzata da un aumento dei livelli di glucosio nel sangue. La malattia si divide in due grandi categorie: il diabete di tipo 1 -che riguarda circa il dieci per cento delle persone con diabete- in genere insorge nell'infanzia o nell'adolescenza. Chi ne soffre subisce la progressiva distruzione, a opera del proprio sistema immunitario, delle cellule del pancreas che producono l’insulina. Ecco perché la cura del diabete di tipo 1, quando la parte del pancreas deputata alla produzione degli ormoni (le cellule beta) è compromessa definitivamente, è rappresentata da iniezioni giornaliere di insulina.
PRESERVARE LE CELLULE BETA
Ma la distruzione delle cellule beta da parte dei propri anticorpi non è una reazione di tipo on-off. Quando il diabete insorge da bambini occorre del tempo perché le cellule beta vengano completamente distrutte. Esiste infatti una riserva di cellule che, se preservata, può continuare a produrre insulina. Partendo da questa constatazione la ricerca si è indirizzata verso lo studio di molecole in grado di preservare le cellule residue in modo tale da allontanare il più possibile il ricorso all'insulina.
I RISULTATI DELLO STUDIO
Nel trial clinico di fase II BANDIT, i ricercatori hanno provato ad utilizzare baricitinib, un farmaco già in uso per alcune malattie autoimmuni. Questa molecola è capace di inibire la funzione di alcune particolari proteine (JAK) necessarie all'attivazione di quelle cellule del sistema immunitario che attaccano il pancreas. Obiettivo primario dello studio era quello di verificare i livelli di peptide C, un marcatore che indica la capacità delle cellule B di produrre correttamente insulina. Nell'analisi, che ha coinvolto 91 pazienti di età compresa tra 10 e 30 anni con diabete di tipo 1 diagnosticato nei 100 giorni precedenti al trattamento, baricitinib (una compressa al giorno) si è dimostrato utile nel preservare la funzione delle cellule beta rispetto a chi ha assunto placebo.
NON SOLO BARICITINIB
Un risultato importante, seppur da confermare su un più ampio numero di pazienti, perfettamente in linea con quello ottenuto con altre molecole come teplizumab, globulina antitimocitaria a basso dosaggio e golimumab, attualmente considerate le terapie modificanti la malattia più efficaci nei pazienti con diabete di tipo 1.
Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.