Da due atenei del Nord-Europa arriva la critica allo screening per questo problema. «Troppo allarme», dicono. Ma anche se la dilatazione è piccola, e non da operare, occorre eliminare i fattori di rischio
Eliminare - o quantomeno rivedere - uno screening di massa perché può far sentire malati tanti che non lo sono. E caricarli, dunque, di ansia. Mentre la medicina sempre di più punta sulla prevenzione e sulle diagnosi precoci, arriva questo sorprendente invito dalle Università di Gothenburg (Svezia) e di Copenhagen (Danimarca), pubblicato sul British Medical Journal. E l’oggetto delle indagini contestate non è di poco conto: la presenza o meno di un aneurisma nell’aorta addominale. Ovvero di una dilatazione della parete che, se si rompe, forse non lascia il tempo di arrivare a un pronto soccorso.
UOMINI SOPRA I 65 ANNI
Certo, ci sono dimensioni piccole, contenute, di questa “sacca” non rischiose, ma forse è meglio saperlo per tenerla d’occhio in vista di un possibile aumento. I ricercatori dei due atenei nordici si rifanno ai programmi di screening varati negli ultimi 15 anni in Svezia, Gran Bretagna e Stati Uniti: a sottoporsi all’esame sono chiamati gli uomini sopra i 65 anni, tanto più se sono fumatori. Questa è infatti la popolazione più a rischio di aneurisma all’addome. Dicono gli studiosi svedesi e danesi che, alla fine di una loro indagine, è risultato che su 10 mila sottoposti a screening 176 sono risultati “sovradiagnosticati” così da «essere convertiti senza alcuna necessità in “pazienti”, i quali potrebbero, poi, soffrire inutilmente di ansia per il resto della vita. In più», aggiungono, «37 di loro sono stati sottoposti a chirurgia preventiva senza alcuna necessità, registrando un caso di morte».
SCREENING O MALASANITA’?
Questi dati, certo allarmanti, sembrano tuttavia parlare più di malasanità, di errore dei medici, che di “colpa” dello screening: possono, infatti, verificarsi a prescindere da qualunque esame su un largo pubblico. Esordisce con una deciso «Non sono d’accordo» la dottoressa Rita Spirito, che è la responsabile dell’Unità operativa che si occupa appunto di Chirurgia vascolare ed endovascolare al Centro cardiologico Monzino (Milano). «Sarebbe come dire alle donne di non fare la mammografia annuale dopo i 50 anni per stare tranquille. L’aneurisma all’aorta addominale, poi, è asintomatico e viene quasi sempre diagnosticato per caso, tramite esami fatti per altre patologie. Il problema è che quando si manifesta è spesso troppo tardi».
SAPERE E’ PREVENIRE
In questa prospettiva uno screening sarebbe il benvenuto, tanto più che si può fare con tecniche non invasive: l’ecografia dell’addome o la tac dell’aorta addominale. «Possiamo così trovare aneurismi piccoli, con una dilatazione di 28-30 mm. da tenere sotto controllo. E questo significa non solo esami ricorrenti, ma adottare uno stile di vita che contrasti i fattori di rischio: come ipertensione, colesterolo alto, fumo, stress. Ecco perché è importante che la persona sappia di avere questa anche piccola dilatazione. Che può restare sempre così, senza crescere, sia chiaro». «Niente ansia, ma consapevolezza», ribadisce la dottoressa Spirito «perché l’aneurisma in sé non è una patologia.
Basta seguire le linee guida internazionali per non avere sovradiagnosi o interventi chirurgici indebiti. Se è di 30 mm, il medico non deve far nulla. Dopo i 5 cm l’intervento presenta un rischio inferiore al fatto di non toccare l’aneurisma. Ma si può operare anche a 45-46 mm a seconda di com’è la parete dell’aorta, se ci sono ulcerazioni oppure un trombo. Oggi si trovano sempre meno aneurismi rotti perché si fanno più esami».
DUE TIPI DI INTERVENTO
E le donne sono immuni? «No, però sono di meno», è la risposta. «In loro tuttavia l’evoluzione è più veloce, specie se c’è familiarità». Non manca che sapere dell’intervento. «Ci sono due opzioni: o l’operazione chirurgica tradizionale con incisione dell’addome oppure l’intervento endovascolare. In questo caso si entra nell’arteria dall’inguine con una protesi e si raggiunge dall’interno il punto della dilatazione da togliere. La scelta va fatta secondo indicazioni ben precise, d’ordine clinico e anatomico, non è una libertà del medico. E’ l’intervento che deve essere su misura per quel paziente».
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.