Lo sviluppo dell’agricoltura si è dimostrato più efficace di altri interventi contro la miseria alimentare
Quando si sentono parole di allarme a difesa della biodiversità a volte si è tentati di sbuffare per le “solite grida” dei “soliti ambientalisti”, ma questo vuol dire non avere proprio idea delle cifre: il 75% della diversità genetica delle piante è già andata perduta, dal 15 al 37% di quanto resta si estinguerà entro il 2015. Inutile aggiungere che a fianco dei cambiamenti climatici e calamità naturale, ampio è stato il contributo degli uomini con inquinamento, degrado dei suoli, abuso di pesticidi e tanto altro.
L'UTOPIA DELL'INDIPENDENZA
L’indiano Shivaji Pandey, alto dirigente della Fao nella divisione produzione e protezione della piante, ha aperto con queste cifre la Decima Conferenza mondiale di Future of Science. E ha continuato con altri sorprendenti - se non allarmanti - aspetti dello scenario: sono circa diecimila le piante utilizzabili per la nostra alimentazione, ma solo settecento vengono coltivate in modo sistematico. L’imbuto, però, alla fine è ben più stretto: appena tre - riso, frumento e mais - rappresentano da sole il 60% delle risorse del nutrimento a livello mondiale. Ancora: nessuno è indipendente dalle risorse vegetali di altri Paesi. Se il Niger abbisogna dal 13 al 27% dall’esterno, la Germania arriva all’83-98% e gli Stati Uniti, nonostante le grandi praterie e l'utilizzo di tecnologia all'avanguardia, oscillano tra l'84 e il 99 per cento.
ACCESSO LIMITATO
Proprio dagli Stati Uniti è venuta l’insidia più grande (e dolorosa) di oggi: il protezionismo, l’appropriazione di semi e varietà vegetali. Fino a tutti gli anni Sessanta del Novecento le piante erano liberamente condivise tra tutti gli stati, erano proprietà pubblica internazionale. Classici e (si credeva) inalienabili “beni comuni”. Ma dai primi anni Settanta gli agricoltori americani cominciarono a rivendicare la proprietà “intellettuale” delle loro risorse genetiche vegetali con “certificati di protezione”, che hanno una durata di vent'anni e, per alcuni vitigni e alberi, di venticinque. Si è così limitato ulteriormente l’accesso alle risorse e, per contrastare queste discriminazioni, si è creato il Gruppo consultivo per la ricerca agricola internazionale (Cgiar) a tutela del diritto di tutti a tutto, come prima, ma nei fatti questo ente conserva, migliora e condivide solo 25 specie vegetali.
FAME NEL MONDO: SOLUZIONI DALL'AGRICOLTURA
Eppure la via delle piante è quella maestra per contrastare la fame nel mondo. Shivaji Pandey lo ha dimostrato ancora con le sue cifre: l’agricoltura si è rivelata da due a tre volte più efficace nel ridurre la miseria alimentare in confronto ad altri sviluppi come allevamenti di animali e pesca. Con tutto questo né nei Paesi in via di sviluppo, che ne avrebbero più bisogno, né altrove si dedicano attenzioni e risorse congrue al potenziamento dell’agricoltura. Per la lotta alla fame nel mondo le cifre, benché anche queste crude, hanno aperto uno spiraglio alla speranza: oggi sono un’infinità le persone, bambini in testa, ad andare a letto la sera con i morsi della fame, tra 800 e 900 milioni, ma appena pochi anni fa erano un miliardo e mezzo (leggi l'utlimo report della Fao). Qualcosa si è fatto, dunque, un incitamento in più per continuare l’impegno su questo fronte. Possibile la vittoria finale? Pandey si congeda con una frase di Gandhi: «La natura può provvedere per i bisogni di ciascuno, ma non per l’avidità di ciascuno».
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.