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Pediatria
Caterina Fazion
pubblicato il 17-03-2023

Labiopalatoschisi, come intervenire precocemente?



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In caso di labiopalatoschisi, conosciuta come labbro leporino, occorre intervenire chirurgicamente in maniera precoce, entro il primo anno di vita. L’obiettivo? Consentire al bambino una vita normale

Labiopalatoschisi, come intervenire precocemente?

Come intervenire in caso di labiopalatoschisi, conosciuta anche come labbro leporino, per consentire al bambino una vita normale, riducendo al minimo problemi ortodontici e difficoltà di linguaggio?

Ne abbiamo parlato con il dottor Domenico Scopelliti, Direttore UOC Chirurgo Maxillo Facciale dell’Ospedale San Filippo Neri di Roma e Vicepresidente di Smile House Fondazione ETS.

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CHE COS’È LA LABIOPALATOSCHISI?

La labiopalatoschisi, detta anche labbro leporino, è una malformazione cranio facciale che si presenta con un'interruzione (schisi) del labbro superiore, che può comportare la sua estensione a livello della gengiva e del palato, determinando vari quadri patologici. Tale alterazione anatomica comporta una comunicazione diretta tra naso e bocca. Si tratta di una condizione rilevabile già in gravidanza, durante l’ecografia morfologica fatta tra la 19esima e la 22esima settimana di gestazione. Questo è infatti il primo momento per visualizzare ogni dettaglio del feto e individuare eventuali malformazioni. I genitori dunque potranno già prepararsi a ricevere tutte le informazioni necessarie volte a capire quello che sarà il percorso futuro che coinvolgerà il bambino e tutta la famiglia.

 

QUANTO È DIFFUSA?

L'incidenza dei casi di labiopalatoschisi in Italia annualmente è di circa 1 su 1000 nati con numeri pari a 600-700 casi l'anno.

«Considerando il fenomeno dell'immigrazione e delle adozioni internazionali – riflette il dottor Domenico Scopelliti– stiamo osservando nell’arco di alcuni anni un incrementato del 5-10% di queste malformazioni nel nostro Paese».

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QUALI SONO LE CAUSE?

Le cause del labbro leporino sono legate a un errore genetico che comporta la mancata fusione delle strutture che andranno a formare il volto.

«Ci sono alcuni agenti, definiti teratogeni – spiega Domenico Scopelliti – che possono aumentare il rischio di queste malformazioni laddove ci sia già un debolezza genetica. Si parla ad esempio dell’assunzione da parte delle mamme durante la gravidanza di alcol o farmaci particolari, e l’abitudine al fumo. Inoltre, ci sono alcune popolazioni maggiormente predisposte alla labiopalatoschisi, come quella asiatica, la cui incidenza è di un caso ogni 400 nati, mentre in Italia si parla di un caso ogni 1000 nati».

 

COME SI INTERVIENE?

Prima di arrivare all'operazione chirurgica che normalmente si colloca tra il 4º e il 6º mese di vita del bambino, esistono ulteriori interventi da poter mettere in atto subito dopo la nascita per gestire al meglio in bambino con labiopalatoschisi?

«Il primo problema che si riscontra – fa luce il dottor Scopelliti – è legato all’alimentazione dei bambini con labiopalatoschisi, a causa dell’apertura del palato. Fino a qualche tempo fa, anche in molti centri pediatrici di eccellenza, l'abitudine era quella di inserire un sondino nasogastrico non appena si evidenziava una difficoltà di alimentazione. Decisione che portava a una riduzione della capacità del neonato di attivare il riflesso di suzione e a una compromissione del rapporto con la mamma e con il papà che si instaura normalmente durante l’allattamento, al seno o non. Adesso, fortunatamente, il panorama è cambiato radicalmente: per l’alimentazione patologica esistono dei presidi che facilitano l’alimentazione come cerotti o placchette che vengono costruite proprio nelle prime due settimane di vita del bambino. La funzione è duplice: creare una barriera meccanica tra la bocca e il naso e ridurre ortopedicamente, durante la crescita, l’apertura mono o bilaterale di labbro, gengive e palato. In questo modo è possibile favorire e condizionare in maniera positiva l'intervento chirurgico. Esistono altresì nuovi modelli di biberon studiati appositamente per poter alimentare questi bambini».

 

L’INTERVENTO CHIRURGICO

Una volta trascorsi alcuni mesi dalla nascita del bambino, come si procede a livello chirurgico?

«I protocolli in atto per la chirurgia della labiopalatoschisi non sono omogenei su tutto il territorio nazionale», chiarisce Domenico Scopelliti. «Alcuni centri prevedono inizialmente la chiusura del labbro anteriore e del palato molle posteriore e, solo successivamente, intorno al terzo o quarto anno di vita, la chiusura del palato osseo. Noi, invece, preferiamo concludere tutto quanto entro il primo anno di vita ovvero chiudere in prima istanza tra il 4º e il 6º mese la parte anteriore, quindi il labbro e la gengiva anteriore all'arcata dentaria, in modo tale da lasciare poi tutto il palato osseo e il palato molle a un secondo tempo spostato di circa 3 o 4 mesi dal primo intervento, ma comunque entro il primo anno di vita. Per noi è una deadline: se il palato molle è chiuso a dodici mesi, infatti, quando il bambino comincia ad articolare determinate parole che necessitano dello strumento funzionale del palato molle, esso sarà già riparato e pronto all’uso».

 

L’IMPORTANZA DELLA CONTINUITÀ

L'obiettivo della Fondazione Smile House, tuttavia, non è solamente operare il bambino dal punto di vista chirurgico, ma seguirlo con un team multidisciplinare per curare ogni aspetto della malattia: dalla logopedia, alla psicologia, all’ortodonzia, all’otorinolaringoiatria.

«Il vero obiettivo, quello finale – spiega Domenico Scopelliti – è quello che il bambino nato con labiopalatoschisi possa avere una buona integrazione sociale, vivendo il più possibile una vita normale. Questo è il motivo per il quale abbiamo creato il progetto di rete Smile House, sostenuto dal Ministero della Salute, che vuole realizzare centri di eccellenza che intercettino i bambini con labiopalatoschisi durante la gravidanza, che consentano interventi chirurgici di eccellenza e garantiscano un percorso multidisciplinare durante tutto il percorso di crescita. Per questo motivo dovranno essere presenti tutta una serie di specialisti che, con la loro competenza, contribuiscano alla risoluzione di tutte le varie problematiche che il bambino nato con questa malformazione può avere. La malattia, infatti, presente dalla nascita, segue il bambino fino al termine della sua crescita, con malformazioni del volto che non vanno a minare solo l’aspetto estetico, ma possono inficiare anche parecchie funzioni correlate come l’articolazione delle parole, la masticazione, la deglutizione e creare problemi ortodontici e otorinolaringoiatrici».

 

CONTRASTARE LA MIGRAZIONE SANITARIA

Oltre a garantire una precoce identificazione dei bambini con malformazione e una presa in carico globale, un altro obiettivo di Fondazione Smile House è quello di contrastare la migrazione sanitaria. In che modo?

«Il nostro progetto – ricorda Domenico Scopelliti – prevede di creare centri idonei alla presa in carico globale dei bambini e adolescenti operati di labiopalatoschisi su tutto il territorio nazionale. Non è pensabile infatti che una famiglia debba mettersi in viaggio e affrontare centinaia di chilometri più volte in un anno solamente per dei controlli o per visite ortodontiche, logopedistiche e psicologiche che potrebbero essere necessarie durante la crescita del bambino. Si tratta di un grande disagio sociale ed economico che investe l’intera famiglia».

 

COME INCREMENTARE L’ESPERIENZA?

Per quanto riguarda la chirurgia, invece, la situazione è differente.

«Non è ottimale che ogni regione abbia un polo chirurgico specializzato in operazioni di labiopalatoschisi – conclude il dottor Domenico Scopelliti –, questo significherebbe diluire di molto la patologia chirurgica e quindi non avere la possibilità di acquisire sempre maggiore competenza. Non dimentichiamo che la chirurgia è un fatto di apprendimento che dipende anche dai grandi numeri: più casi si operano, più si acquisisce expertise chirurgica. L’obiettivo del Progetto Smile House è quello di concentrarsi su una rete che possa contare in Italia su un numero limitato di poli chirurgici, quattro o cinque con elevatissima competenza e sviluppare parallelamente per ogni regione centri ambulatoriali e specialistici. Qui il bambino e la sua famiglia potranno essere intercettati, accolti e preparati all'intervento fin dalla nascita, indirizzati al centro di riferimento per la chirurgia e successivamente seguiti per tutto il periodo di crescita non troppo lontani da casa, evitando numerosi e dispendiosi spostamenti».

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Caterina Fazion
Caterina Fazion

Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile


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