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Pediatria
Serena Zoli
pubblicato il 14-01-2016

Dislessia: intervenire ai primissimi segnali



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La vera diagnosi si può fare solo dopo la seconda elementare, ma se ci sono già piccoli disturbi prima, bisogna mettere in atto subito le terapie logopedistiche

Dislessia: intervenire ai primissimi segnali

Intervenire subito, prima della vera diagnosi, nella dislessia. Intervenire appena si hanno segnali o sospetti di una qualche disfunzione. Solo così si potrà ottenere di restringere se non addirittura eliminare il divario tra la lettura del bambino o bambina dislessici e la capacità di un lettore normale.

L’appello viene da uno studio firmato anche dalla dottoressa Sally Shaywitz, che è un’autorità mondiale nel campo, insieme con colleghi delle Università di California-Davis e Yale. Non si può più aspettare che i bambini siano nella classe di terzo grado (alla fine della seconda elementare, da noi) quando si può fare una vera diagnosi completa, come indicano le linee guida, e attivare solo allora tecniche di recupero per la lettura corretta.

I ricercatori, che hanno pubblicato l’indagine su The Journal of Pediatrics, riferiscono di un loro studio longitudinale con ragazzi seguiti dalla prima elementare a quasi tutte le superiori e dove hanno verificato che il divario iniziale resta più o meno lo stesso a distanza di anni. Non si può dunque dire che le differenze nella lettura siano un effetto crescente con la crescita dei ragazzi.

Come si individuano queste differenze già in prima elementare, ma anche prima, occorre mettere in atto le terapie per cercare di correggere il disturbo e solo così si può ottenere di rendere più piccola la diversità di lettura del dislessico. Se non, in certi casi, anche eliminarla del tutto.

«Da noi c’è la legge 170 che prescrive di fare screening nelle scuole e di intervenire il prima possibile per la dislessia, anche alla scuola materna», commenta il professor Giacomo Stella, ordinario di Neuropsicologia clinica all’Università di Modena e Reggio Emilia.

Ma i principi della Società italiana di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza dicono che non può essere fatta diagnosi prima della fine della seconda elementare: ma che cosa si può osservare prima?

«Prima si possono avere degli indicatori di rischio, alcuni sintomi. E intervenire subito vuol dire ottenere maggiori risultati, tuttavia occorre prima capire che tipo di difficoltà ha il piccolo nella lettura», continua il professor Stella. «Le cause possono essere o fonologiche oppure dell’attenzione visiva o, ancora, uditiva».

Alcuni esempi chiariscono la situazione: nel disturbo di tipo fonologico il piccolo lettore confonde i suoni simili, tipo voglia e foglia; se è invece di natura visiva, sono le lettere simili a non venir distinte: b e d hanno forme analoghe, così come si possono confondere il e li, la con al.

Per tornare alla diagnosi vera e propria, chi è abilitato a farla? E chi seguirà il bambino o la bambina per aiutarli a non “inciampare” nella lettura? «La diagnosi la fanno il neuropsichiatra infantile e gli psicologi», risponde il professor Giacomo Stella. «Mentre a seguirli per correggere il disturbo sono i logopedisti».

Serena Zoli
Serena Zoli

Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.


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