Ore di angoscia per il personale del Centro per la diagnosi del tumore al seno di Herat. Sono tutte donne afghane. Aperto dal 2013, vi accedevano gratuitamente mille donne l'anno.
**AGGIORNAMENTO DEL 19 AGOSTO 2021** il personale dell'ambulatorio di Herat è arrivato in Italia. Fondazione Umberto Veronesi ringrazia il Governo italiano per l'appoggio in questo difficile frangente. Il pensiero va a tutte le persone che in Afghanistan stanno vivendo una situazione drammatica.
Il nostro Centro per la diagnosi del tumore al seno di Herat, in Afghanistan, non c’è più. È stato chiuso dopo che il personale medico da giorni ci aggiornava su una situazione sempre più angosciante. «Sentiamo i combattimenti sempre più vicini. L’aeroporto è chiuso perché temono bombardamenti, tutti gli occidentali se ne sono andati e chi ha lavorato con loro è rimasto qua. Siamo in trappola, vi prego aiutateci» ci raccontava via Skype una delle dottoresse che da anni lavora per dare assistenza oncologica gratuita alle donne di Herat. Il 13 agosto la città è caduta. Tutto il personale è stato trasferito a Kabul. Sono ore di angoscia. Anche la capitale afghana ha le ore contate, con i talebani a pochi chilometri e il ministro degli Esteri Luigi di Maio che si dichiara pronto ad evacuare l’ambasciata italiana. Si invoca l’intervento dell’Unione Europea. Ci si domanda come aiutare le persone che sono là.
SITUAZIONE DIFFICILISSIMA
Monica Ramaioli, direttore generale di Fondazione Umberto Veronesi, dall’inizio di agosto sta lavorando giorno e notte, insieme ad Annamaria Parola, responsabile Relazioni istituzionali e Progetti internazionali, tentando di tutto per aiutare le dottoresse e le loro famiglie, mariti, figli, genitori anziani. «Da ormai qualche giorno tutti i nostri medici e il personale tecnico sono a Kabul e da oggi, grazie all’impegno del Governo e del corpo diplomatico, si aprono degli spiragli. La situazione è difficile, come è facile intuire, anzi difficilissima, perché sono decine di migliaia le persone in cerca di rifugio. Le dottoresse, come immaginabile stanno impazzendo dalla paura, sentono i talebani avvicinarsi e temono ritorsioni per il loro ruolo di donne, di medici, di operatori attivi nella cooperazione internazionale. Tutte queste donne sono persone preparate che hanno completato gli studi, hanno lavorato per anni con il sostegno italiano perché credevano veramente nella possibilità di un processo di pace nel loro paese martoriato. E oggi rischiano la vita loro e dei famigliari».
L’AMBULATORIO DI HERAT: UNA STORIA DI SPERANZA
Chi ha raccontato la caduta delle città afghane, una dopo l’altra conquistate dai talebani, ha spesso parlato di un precipitare indietro nel tempo, di un ritorno al disastro del 2001. Ci si interrogherà sul perché in 50 anni di guerre e di presenza di contingenti occidentali questo paese non abbia trovato pace. Il Centro per la diagnosi del tumore al seno di Herat è una piccola grande storia di speranza. Inaugurato nel 2013 presso un'ala attigua del Maternity Hospital di Herat, un ospedale pubblico regionale, era composta da una struttura di circa 120 metri quadri. Erano state allestite una sala d'attesa, un ufficio, una toilette, uno spogliatoio, una sala visite con un ecografo, un’altra con un mammografo. «Le apparecchiature, introvabili in Afghanistan, erano state acquistate con il sostegno di Fondazione BNL e portate là dall’Aeronautica italiana» racconta Annamaria Parola. Le sue parole sono piene di orgoglio per il lavoro svolto, cerca di raccontare la fatica di mettere insieme tutti i pezzi, di trovare materiali e spazi, di tessere relazioni in un contesto difficile. Racconta l’impegno, la fiducia e l’entusiasmo delle persone afghane coinvolte, ma anche degli italiani che in questo progetto hanno creduto e a cui hanno contribuito, con tenacia e inventiva. Prosegue: «I casi sospetti di tumore erano tanti, circa un quarto dei casi esaminati in ambulatorio. Andavano assolutamente analizzati, così era stato aperto anche un laboratorio di citologia per la lettura dei vetrini e del materiale ottenuto con l’ago aspirato. Prima di allora ad Herat questo servizio era accessibile solo a poche persone, a pagamento. Il personale era stato formato grazie ad APOF, l’Associazione patologi oltre frontiera, che collabora con Fondazione dal 2017 su questo progetto, e che si occupava anche del controllo di qualità sulle analisi citologiche, da remoto. Le dottoresse sono state accolte per il tirocinio dall’ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia». Ragazze «determinate, preparate, che trascorrono quasi tutto il tempo con un occhio nel microscopio», così le descrivevano i medici che le avevano addestrate.
Al centro di Herat accedevano gratuitamente circa mille donne l’anno, e dal suo avvio sono circa 9.300 circa le donne che sono state esaminate. «Nel centro lavoravano fino a pochi giorni fa 8 persone» precisa ancora Parola. «Due medici, due tecnici di radiologia, due tecnici di laboratorio, un data manager e un addetto alle pulizie. Il personale medico e paramedico è stato ospitato per incontri di formazione due volte in Italia e una volta in India. Sono tutte donne afghane».
Donatella Barus
Giornalista professionista, dirige dal 2014 il Magazine della Fondazione Umberto Veronesi. E’ laureata in Scienze della Comunicazione, ha un Master in comunicazione. Dal 2003 al 2010 ha lavorato alla realizzazione e redazione di Sportello cancro (Corriere della Sera e Fondazione Veronesi). Ha scritto insieme a Roberto Boffi il manuale “Spegnila!” (BUR Rizzoli), dedicato a chi vuole smettere di fumare.