Una ricerca su quasi tremila gemelli stabilisce che la nostra sensibilità è determinata quasi in egual modo dai geni e dalle esperienze
Una ricerca condotta su 2.800 gemelli per capire da dove viene la nostra minore o maggiore sensibilità. Dalla genetica o dall'ambiente? Se da entrambe, in quale misura? A questa domanda ha dato risposta uno studio realizzato dai ricercatori della Queen Mary University di Londra, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Molecular Psychiatry.
DUE BASI QUASI A META’
I gemelli cresciuti insieme condividono lo stesso ambiente: vale a dire la famiglia, la scuola, i conoscenti, le vicende che si affrontano durante l'infanzia e l'adolescenza. I gemelli identici condividono anche tutti i geni, hanno cioè lo stesso impianto biologico. Quando questi mostrano differenze nei loro livelli di sensibilità analoghe a quelle riscontrabili tra gli altri gemelli (semplici fratelli), significa che non sono entrati in gioco i geni. Sulla base di questo ragionamento, coinvolgendo nello studio 1.000 gemelli monozigoti (o nati da uno stesso ovulo fecondato) e 1.800 non identici (dizigoti, come se fossero normali fratelli) con un'età media di 17 anni, i ricercatori hanno trovato che il 47 per cento delle differenze nella sensibilità tra individui dipende dalla genetica, mentre il 53 per cento si lascia modellare dalle esperienze di vita.
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STESSO EVENTO, IMPATTO DIVERSO
Le due componenti, di fatto, incidono quasi alla stessa maniera. Michael Pluess, docente di psicologia dello sviluppo alla Queen Mary e responsabile della ricerca, ha commentato: «Tutti veniamo segnati dalle esperienze che facciamo, la sensibilità è qualcosa che condividiamo tutti come un tratto umano basilare. Ma diverso può essere l’impatto dello stesso vissuto su di noi. Gli scienziati da sempre hanno pensato che esistesse una base genetica della nostra sensibilità, questa però è la prima volta che tale base viene quantificata».
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A COSA SIAMO PIU’ SENSIBILI?
Come strumento dell’indagine, i 2.800 gemelli hanno risposto a uno specifico questionario ideato dallo stesso Pluess sulla base di test specifici già esistenti. Dalle risposte è venuto fuori anche quali ragazzi erano più sensibili alle esperienze negative o positive. Un altro ricercatore, Elham Assary, ha dichiarato: «Se un bambino è più toccato dalle esperienze negative, può darsi che più facilmente si stressi ed entri in ansia nelle situazioni difficili. Dall’altra parte, quanti sono più sensibili alle esperienze positive può essere che traggano più vantaggi di altri dall’avere bravi genitori o supporti psicologici a scuola. Il nostro studio mostra che tutte queste tendenze, comunque, nascono quasi per metà dai geni che ereditiamo».
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Infine, i ricercatori hanno esplorato come la sensitività si rapporti con altri tratti comuni e conosciuti della personalità, i cosiddetti «Big Five»: il carattere aperto, la coscienziosità, la piacevolezza, l’estroversione, il neuroticismo. E hanno trovato che solo sensibilità, neuroticismo (un tratto della personalità che porta le persone a buttarsi giù di morale) ed estroversione hanno tratti genetici in comune. Ha concluso Pluess: «Sappiamo da altre ricerche che un terzo delle persone stanno nella parte più alta dello spettro della sensibilità. E che, dunque, sono più segnate dalle loro esperienze di vita. Questo comporta vantaggi e svantaggi. È importante che noi prendiamo coscienza che la nostra sensibilità poggia quasi alla pari su due diversi terreni, biologia e vissuti, e che accettiamo questo fatto come una forza, non come una debolezza». Conosci te stesso, sta scritto sul tempio di Apollo a Delfi.
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.