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Neuroscienze
Serena Zoli
pubblicato il 27-09-2011

La coscienza siamo noi, la nostra esperienza



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L'intervento di Giulio Tononi alla conferenza Mondiale The Future of Science

La coscienza siamo noi, la nostra esperienza

L'intervento di Giulio Tononi alla conferenza Mondiale The Future of Science

Un uomo in stato vegetativo a occhi aperti. C’è qualcuno dietro quegli occhi? O non c’è nessuno? La risposta a questa domanda – c’è coscienza o no – avrebbe enormi implicazioni nella vita delle persone e potrebbe rispondere ad angosciosi quesiti, su cui tanto si discute, a proposito della “buona morte”. Del confine vita-non vita, esprimibile in modo più pregnante: c’è ancora un uomo lì o solamente un corpo senza alcuna ‘umana’ coscienza?

“Il problema è definire che cos’è la coscienza”, dice il professor Giulio Tononi, ora professore di psichiatria all’Università del Wisconsin (Usa) e impegnato in ricerche neuroscientifiche di punta. Ma è un problema difficilissimo. Lui dice: ”Coscienza è sinonimo di esperienza: è tutto ciò che siamo e che abbiamo. Si può dirla anche così: è ciò che svanisce quando ci addormentiamo in un sonno senza sogni e che ricompare al nostro risveglio”.

Ma non siamo alla definizione, quella che segna i paletti e potrà farci dire domani se quella sola parte del cervello ancora in azione in una persona in coma sia sufficiente per parlare della presenza di coscienza. Ci sono malati – prosegue il docente - che non danno segno di vita, ma sottoposti ad analisi mostrano di avere ancora funzionante una sola parte del cervello, per esempio quella delegata a udire. Che significato dare?

Tononi ha avanzato la teoria dell’”integrazione dell’informazione”, difficile da rendere in parole semplici: “La coscienza è una proprietà intrinseca dei sistemi che dal punto di vista delle informazioni non sono riducibili alla somma delle loro parti”. Vale a dire che l’informazione è ‘integrata’ quando non può ridursi all’insieme delle sue parti. Il tutto deve poter fare ‘qualcosa’ che le singole parti non sono in grado di compiere e solo allora si genera la coscienza.

Si può parlare di coscienza quando restano attive solo alcune ‘isole’ sparse del cervello? “La coscienza è bassissima o nulla se non c’è il contesto più vasto entro cui si verifichino queste attivazioni. Per tornare all’esempio precedente, se è attivo solo l’udito, no, una sola zona non basta”.

Un domani, ancora molto lontano, si arriverà – prevede Giulio Tononi - a un metro della coscienza, a un indice numerico che la quantifichi (e con ciò qualifichi).

Prima ci sono molti misteri da sciogliere. Uno tra i tanti: perché a generare la coscienza risulta essere soltanto la corteccia cerebrale mentre non ha alcuna partecipazione il cervelletto, che pure possiede una quantità maggiore di neuroni?

Serena Zoli
Serena Zoli

Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.


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