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Agnese Collino
pubblicato il 02-10-2016

Le alterazioni epigenetiche nel carcinoma ovarico



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Studiare come l’accensione e lo spegnimento dei geni vengano alterati nel tumore dell'ovaio, per conoscerlo meglio e capire come curarlo: questo è l’obiettivo di Pasquale Laise

Le alterazioni epigenetiche nel carcinoma ovarico

Nonostante la ricerca abbia fatto tanta strada in ambito oncologico, esistono tumori che ancor oggi restano difficili da trattare. Uno di questi è il carcinoma ovarico, che in Italia colpisce ogni anno circa 4.800 donne, soprattutto fra i 50 e i 65 anni. Vista la tendenza a generare metastasi con estrema frequenza, la comprensione dei meccanismi di base che inducono l’insorgenza di questo tipo di tumore è dunque fondamentale per identificare nuovi bersagli terapeutici. Negli ultimi anni si è scoperto che, come le mutazioni del Dna, le alterazioni epigenetiche hanno un ruolo chiave nello sviluppo e progressione di molti tipi di tumori. Queste modificazioni modulano l'accensione e lo spegnimento dei geni in maniera reversibile e senza dover riscrivere il nostro Dna. In situazioni patologiche, i meccanismi che depositano o rimuovono queste modificazioni possono alterarsi, e portare così allo sviluppo di malattie. Eppure, nonostante il legame tra alterazioni epigenetiche e tumori sia ormai chiaro, i fenomeni che causano queste alterazioni sono ancora oscuri. Su questo lavora Pasquale Laise (nella foto), biologo computazionale cosentino, che grazie alla Delegazione di Vibo Valentia della Fondazione Umberto Veronesi sta svolgendo un progetto presso l’Università della California a Los Angeles.

Pasquale, di cosa ti occupi?

«Il nostro progetto è incentrato sullo studio delle alterazioni epigenetiche nella formazione e nella progressione del carcinoma ovarico. A questo scopo puntiamo a ottenere una mappa delle alterazioni epigenetiche nelle cellule di carcinoma ovarico combinando tecniche di sequenziamento di nuova generazione e algoritmi bioinformatici. Questi strumenti permetteranno di ricostruire come i geni interagiscano fra loro nel regolare il comportamento delle cellule tumorali e come queste reti di regolazione si correlino alle alterazioni epigenetiche». 

Quali prospettive apre questo progetto per la conoscenza biomedica e per la salute umana?

«L’analisi di questi aspetti aggiungerà un nuovo tassello alla nostra conoscenza sul ruolo delle alterazioni epigenetiche nella formazione e nella progressione dei tumori, e consentirà di ampliare il nostro arsenale terapeutico contro il carcinoma ovarico, un tumore subdolo che ancora oggi è associato ad un basso tasso di sopravvivenza».

Raccontaci della tua esperienza all’estero: come mai hai deciso di intraprenderla?

«Grazie al travel grant della Fondazione Umberto Veronesi ho avuto la possibilità di condurre un periodo di ricerca di 6 mesi in uno dei laboratori di biologia computazionale più importanti al mondo presso la prestigiosa Università della California a Los Angeles. Quello che mi ha spinto a voler lanciarmi in questa esperienza all’estero è principalmente la curiosità scientifica, la voglia di imparare nuove metodologie e nuovi modi di pensare».

Ricordi il momento in cui hai capito che la tua strada era quella della scienza?

«Fare il ricercatore è un desiderio che nutro da quando ero bambino. Già da piccolo, mi raccontano i miei genitori, ero un bambino molto curioso: oltre a chiedere il perché di ogni cosa come fanno molti bambini, rompevo molti giocattoli solo per capire come funzionavano». 

Cosa ti piace di più della ricerca?

«L'idea di voler tentare di dare una spiegazione razionale a tutto ciò che ci circonda».

E cosa invece eviteresti volentieri?

«Nulla, sto ancora imparando tante cose».

Quale figura ha ispirato la tua vita personale e professionale?

«Leonardo Da Vinci: è un po’ il motivo per il quale ho deciso di studiare, per la mia laurea specialistica e il mio dottorato, a Firenze». 

Cosa avresti fatto se non avessi fatto il ricercatore?

«Non so, forse il barbiere o il falegname».

Al di là dei contenuti scientifici, qual è per te il senso profondo che ti spinge a fare ricerca e dà un significato profondo alle tue giornate lavorative?

«L'idea di poter dare un piccolo contributo alla scienza. Aumentare la conoscenza scientifica significa, per me, creare le basi per migliorare la vita dell'uomo».

Cosa ne pensi dei complottisti e delle persone contrarie alla scienza per motivi ideologici?

«Penso che il problema non siano le persone contrarie alla scienza: ci sarà sempre qualcuno che per motivi personali, economici o politici si porrà in contrasto. Il vero problema, secondo me, consiste nella diffusione di idee anti-scientifiche nella cittadinanza. Il vero nemico della scienza è l'ignoranza, l'unico modo che vedo per contrastare questo fenomeno è la divulgazione scientifica».

Cosa fai nel tempo libero?

«Mi piace fare sport, in particolare calcio e arti marziali. Suono la chitarra e mi piace leggere, andare al cinema e a teatro. Adoro viaggiare».

Cosa vorresti assolutamente fare almeno una volta nella vita?

«Mi piacerebbe vedere l'aurora boreale».

Un ricordo a te caro di quando eri bambino.

«Le passeggiate con mio nonno Pasquale».

Se potessi scegliere una persona famosa, con chi ti piacerebbe andare a cena una sera e cosa ti piacerebbe chiedergli?

«Umberto Veronesi. Avrei un sacco di cose da chiedere al Professore: tra queste sarei molto curioso di chiedergli quali sono, secondo lui, i requisiti essenziali che ogni scienziato dovrebbe avere per avere successo nel mondo della ricerca».

 

 


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