Studiato per individuare in modo non invasivo anomalie nel nascituro, il test di ricerca del DNA fetale può fornire indicazioni utili per la salute della madre
Marta - chiamiamola così, con un nome di fantasia - è una giovane mamma che ha vinto il cancro. Lo ha vinto grazie a suo figlio. Se non ci fosse stato probabilmente oggi sarebbe qui a lottare ancora contro il tumore. Invece -grazie al test di ricerca del Dna fetale effettuato per conoscere l’eventuale presenza di anomalie nel nascituro- la donna ha potuto scoprire la presenza di un tumore in fase iniziale. Un caso tutt’altro che isolato: in uno studio presentato all’European Society of Human Genetics e pubblicato sulle pagine di Jama Oncology gli scienziati del Centre for Human Genetics di Leuven (Belgio) hanno dimostrato che con i test prenatali non invasivi messi a punto negli ultimi anni è possibile fare diagnosi precoce anche nella madre.
TEST DI DIAGNOSI PRENATALE
A oggi uno dei principali metodi diagnostici per verificare l’eventuale presenza di anomalie genetiche nel feto è l’amniocentesi. Un test invasivo che prevede il prelievo del liquido amniotico - nel quale sono presenti le cellule del bambino - e che può portare in alcuni casi all’aborto. La scienza da tempo è alla ricerca di nuovi test non invasivi. Da diversi anni è disponibile un esame (Tri-test) che prevede il dosaggio di particolari marker nel sangue abbinati ad ecografia per la valutazione della translucenza nucale. Un test sicuro che presenta però un tasso di falsi positivi non trascurabile pari a quasi il 4%.
DNA CIRCOLANTE
Negli ultimi anni gli scienziati, complice lo sviluppo di nuovi strumenti di rilevazione e sequenziamento del Dna, hanno messo a punto un esame che consiste nell’analisi del sangue prelevato dalla madre. All’interno di esso infatti, oltre alle cellule proprie, circola del Dna che appartiene al feto. Il test, per ora disponibile solo in pochi centri e a pagamento, negli anni potrebbe sostituire i metodi classici. Un recente studio pubblicato dal New England Journal of Medicine ha comparato il test con il Tri-test. Stando ai risultati la ricerca del Dna fetale libero ha presentato un tasso di falsi positivi dello 0,3%, ovvero oltre dieci volte inferiore rispetto al dosaggio dei biomarcatori.
UTILE PER LA SALUTE DELLA MAMMA
Pur essendo un test affidabile gli scienziati stanno cercando di affinare sempre di più l’accuratezza del metodo in modo tale da poter diagnosticare sempre più anomalie cromosomiche. Come spiega la dottoressa Nathalie Brison, una delle autrici dello studio apparso su Jama Oncology, «Sperimentando il test su oltre 6 mila donne abbiamo identificato tre diverse anomalie genomiche che non potevano essere collegate né al profilo genetico della madre né a quello fetale. Ci siamo resi conto che le anomalie erano molto simili a quelle che si ritrovano in alcune forme tumorali». Un campanello d’allarme che si è rivelato tutt’altro che infondato: inviate per ulteriori analisi le tre donne hanno scoperto di essere affette rispettivamente da un carcinoma ovarico, linfoma follicolare e linfoma di Hodgkin.
Tumori in fase iniziale, totalmente asintomatici, che mai sarebbero stati diagnosticati così precocemente se non si fossero sottoposte al test di indagine prenatale. Durante la gravidanza i sintomi correlati al cancro infatti potrebbero essere mascherati: affaticamento, nausea, dolori addominali e perdite sono sintomi comuni. Manifestazioni – spiegano gli esperti - che però possono mascherare l’effettiva presenza del cancro. Nel caso di Marta – sottoposta a chemioterapia durante la gravidanza - il bambino è nato perfettamente sano e attraverso il test, ripetuto durante le cure, è stato possibile monitorare l’efficacia del trattamento.
DIAGNOSI PRECOCE CON IL SANGUE?
I risultati ottenuti aprono ora scenari interessanti nel campo della diagnosi precoce. Attraverso l’analisi del corredo cromosomico gli scienziati stanno puntando ora a migliorare la tecnica al fine di individuare tutti quei tumori pre-sintomatici. Un obbiettivo che se fosse centrato rivoluzionerebbe il campo della lotta ai tumori. Perché ancora prima delle terapie più innovative è la diagnosi precoce a fare la differenza.
Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.