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Cardiologia
Daniele Banfi
pubblicato il 03-09-2014

Ipertensione resistente: quando si può curare con la chirurgia


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cuore

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Se i farmaci non sono sufficienti l'intervento sembra rappresentare l'unica soluzione. La tecnica, in uso da alcuni anni, consiste nel rimuovere i nervi del sistema simpatico

Ipertensione resistente: quando si può curare con la chirurgia

SPECIALE IPERTENSIONE: Come si misura la pressione arteriosa, come si cura e si previene

Attività fisica, corretta alimentazione e mix di farmaci. Nonostante questi interventi la pressione non scende ad un livello accettabile. Cosa fare? Da tempo i cardiologi sono alla ricerca di nuove strade alternative per combattere l'ipertensione arteriosa resistente. Un approccio, ormai in uso da qualche anno, è rappresentato dalla denervazione renale, una tecnica chirurgica che vede i cardiologi divisi. I risultati infatti non sempre sono soddisfacenti. Il motivo? Secondo quanto presentato al congresso internazionale ESC di Barcellona (Spagna), il più importante evento in cardiologia che riunisce oltre 30 mila medici, il motivo sarebbe da ricercarsi nel modo in cui si opera. Se durante l'intervento si eliminano le arterie renali accessorie allora la probabilità di successo aumenta considerevolmente.

 

LA MALATTIA

Nella maggior parte dei casi per abbassare la pressione arteriosa bastano pochi accorgimenti. Quando alimentazione e attività fisica non bastano si ricorre all'utilizzo degli anti-ipertensivi, una classe di farmaci ampiamente diffusa e dalla buona efficacia. Esiste però una fetta di popolazione ipertesa (15%) che, nonostante i farmaci, rimane con valori di pressione troppo elevati.

«In questi casi, quando nonostante il mix di 3 o più farmaci la pressione non scende al di sotto di 150/90 mm Hg, si parla di ipertensione resistente. Alla base del disturbo vi è un'aumentata attività del sistema nervoso simpatico e in particolare di quei nervi che circondano i reni, organi deputati - tra le tante attività che svolgono - a regolare proprio la pressione arteriosa», spiega la dottoressa Linda Schmiedel, autrice dello studio. Ecco perché, rimuovere parte di queste fibre, potrebbe rappresentare una soluzione.

 

LA TECNICA

A partire dal 2009 la denervazione renale, una tecnica che consiste nel rimuovere i nervi del sistema simpatico che avvolgono i reni, è entrata nella pratica ospedaliera. La procedura consente di ottenere una riduzione di 20 mm Hg per la sistolica e di 10 mm Hg per la diastolica. Al momento la denervazione renale -per ragioni di difficoltà nell'operazione - non prevede la rimozione delle arterie renali accessorie. La loro rimozione però potrebbe giovare ulteriormente a un abbassamento di pressione. Ed è a questo che ha pensato il gruppo della dottoressa Schmiedel.

 

I RISULTATI

Utilizzando una procedura altamente accurata i chirurghi hanno sottoposto un gruppo di  pazienti a denervazione renale che comprendeva la rimozione delle arterie accessorie. A sei mesi di distanza dall'operazione i dati hanno mostrato il successo dell'intervento nel 70 per cento dei casi. «L'ablazione delle arterie accessorie sembra essere un fattore importante per il successo di questa procedura nel trattamento di ci soffre di ipertensione resistente. Un successo che dipende però da un'attenta selezione dei pazienti da trattare e dalla rimozione totale delle arterie accessorie» conclude la Schmiedel. Un'evidenza che potrebbe essere la ragione del perché non sempre l'attuale denervazione renale ha successo.

 

@danielebanfi83

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Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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