La mancata attuazione dell'intra-moenia, la libera attività dei medici all'interno delle strutture pubbliche, è una delle cause dei molti guai della sanità italiana.
A 13 anni dall’introduzione del regime dell’intra-moenia allargato, ora si fa sul serio”, ha detto in un’intervista al Corriere della Sera il ministro della Salute Renato Balduzzi.
Se il ministro si mostra impaziente, figuriamoci noi. In un periodo in cui tanti vecchi nodi sembrano finalmente sciogliersi, forse si avvia a una conclusione di chiarezza anche la questione della libera professione dei medici all’interno delle strutture pubbliche, una storia tipicamente italiana.
Dal varo nel 1999 della riforma sanitaria di Rosy Bindi (e Balduzzi era allora nello staff che preparò la legge), che prevedeva tra l’altro l’esclusiva del rapporto di lavoro dei medici nell’ospedale pubblico, ne passarono otto, con diversi regimi transitori, prima di arrivare nel 2007 a una normativa che regolamentasse il rapporto tra la libera professione e i doveri dei dipendenti della sanità pubblica: è il cosiddetto sistema dell’intra-moenia, che prevede l’impegno per l’ospedale di fornire gli spazi e le strutture dove i medici possono esercitare la libera professione “entro le mura” e , per questi ultimi, l’obbligo di dedicarsi alle visite private fuori dall’orario di lavoro, di non avere più pazienti privati di quelli pubblici e di versare una percentuale dei guadagni, che vengono riscossi dall’azienda sanitaria. Un sistema, si è detto, che garantisce l’adesione professionale e psicologica dei dottori al loro ospedale.
Poi altri anni di rinvii, deliberati di solito in quei decretoni definiti “milleproroghe”, nei quali si esercita al meglio l’attività lobbistica dei parlamentari.
La giustificazione principale era, ed è, che “non ci sono le strutture”, ancora dopo 13 anni.
La causa vera è in molti casi la storica resistenza dei medici, pur dipendenti pubblici, a un regime di controllo della libera professione, in altri la tacita acquiescenza di molti dirigenti sanitari, che preferiscono lasciare che medici i esercitino extra-moenia, nei loro studi privati, senza spese di struttura e guadagnando la percentuale, ma anche senza alcun vero controllo.
Si calcola che oggi gli onorari privati dei medici “pubblici” ammontino a circa 1 miliardo e 300 milioni di euro all’anno, di cui solo 200 vanno agli ospedali da cui dipendono.
Attualmente il 50% delle strutture pubbliche si è adeguato alla normativa. “E’ giusto guardare il bicchiere mezzo pieno”, ha detto Balduzzi, che comunque ha fissato a giugno di quest’anno l’ultima scadenza per mettersi in regola. Noi preferiamo guardare alla parte mezza vuota, al fatto che solo in 11 regioni tutte le aziende sanitarie riscuotono gli incassi dell’attività privata.
E al fatto che la mancata attuazione dell’intra-moenia sia una delle cause (non l’unica) di molti guai della sanità pubblica italiana: troppi medici “fuori le mura” allungano le code, accentuano le sofferenze dei Pronto Soccorso, riducono l’efficienza degli ospedali. Sarà difficile che da qui a giugno si riempia il bicchiere. Ma è giusto porre un limite definitivo: dopo il quale, almeno, chi non si adegua sarà considerato fuori legge. Giusto anche nei confronti di quei tanti medici che da anni hanno rinunciato allo studio privato, per compiere meglio il proprio dovere.