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Redazione
pubblicato il 23-06-2014

Fondazione Veronesi presenta il decalogo dei diritti del malato



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Il documento punta a eliminare le discriminazioni nella sanità garantendo un equo accesso alle cure

Fondazione Veronesi presenta il decalogo dei diritti del malato

Il Comitato Etico della Fondazione Veronesi ha discusso e approvato la proposta del professor Umberto Veronesi del decalogo dei diritti del malato. A sottoscriverlo il presidente, Cinzia Caporale, e tutti gli altri membri: Elisabetta Belloni, Carla Collicelli, Domenico De Masi, Giuseppe Ferraro, Armando Massarenti, Lucio Militerni, Telmo Plevani, Mario Pirani, Carlo Alberto Redi, Alfonso M. Rossi Brigante, Marcelo Sanchez Sorondo, Paola Severino ed Elena Tremoli.

L’assemblea si è espressa favorevolmente e ha approvato la seguente formulazione:

  1. Diritto a cure scientificamente valide e sollecite
  2. Diritto a conoscere la verità sulla malattia e ad essere informato sulle alternative di trattamento
  3. Diritto a non soffrire
  4. Diritto alla privacy
  5. Diritto a una seconda opinione
  6. Diritto a non sapere
  7. Diritto a esprimere e revocare il consenso e diritto a rifiutare le cure
  8. Diritto a esprimere le volontà anticipate di trattamento
  9. Diritto all’integrità personale e al rispetto della dignità
  10. Diritto a un accesso equo al progresso biomedico  

Più aumenta la complessità dei sistemi sanitari, e più si pone la questione dei rispetto dei diritti dei malati prima, durante e dopo le cure. Le società ed i sistemi complessi, infatti, sono per definizione sistemi ad alto gradiente di iniquità, ed al tempo stesso sistemi nei quali la dimensione tecnologica e quella burocratico-organizzativa rischiano di soffocare la dimensione etica e quella umana. Un Decalogo dei diritti del malato, quale quello proposto dalla Fondazione Veronesi, ha quindi l’obiettivo di ristabilire (o di introdurre ex novo) un ordine di priorità nelle attività sanitarie, a partire dalle esigenze e dai principi che riguardano i soggetti portatori di domanda di salute e sanità.

Da un punto di vista sociologico, l’interpretazione classica rispetto al mancato rispetto dei diritti del malato è basata sulla considerazione dell’importanza della collocazione socio-economica degli aventi diritto, in termini di posizione occupazionale, genere, età, territorio ed etnia. Emerge ad esempio che le diseguaglianze relative ai tassi di mortalità secondo il titolo di studio crescono nel periodo più recente e sono molto marcate anche le diversità di genere e quelle legate al livello di benessere socioeconomico. Le discriminazioni determinate, in sanità, dalle condizioni materiali di vita, rappresentano pertanto un riferimento importante che trova rispecchiamento in modo particolare negli articoli 1 e 10 del Decalogo.

Un secondo aspetto riguarda l’impatto delle politiche volte a salvaguardare la compatibilità economico-finanziaria e la efficienza gestionale dei sistemi sanitari, con tutto il bagaglio di strumentalità mutuate dal mondo dell’impresa e della economia aziendale (dalle forme di rimborso standardizzato, alla definizione dei livelli minimi e massimi di offerta, alla spending review, alle politiche di rientro di bilancio), che tanta parte hanno nella negazione di molti dei diritti citati nel Decalogo. Spostamento dei costi delle prestazioni sulle famiglie, contrazione dell'offerta di servizi in molte regioni, allungamento delle liste di attesa, spinta verso l'acquisto privato out-of-pocket e riduzione del grado di copertura pubblica, sono tutti tasselli di un mosaico che negli ultimi anni ha finito per accentuare le diseguaglianze già in essere e negare i diritti alle cure. Si pensi alla diversa dotazione territoriale di strutture e servizi, che da sempre penalizza le regioni meridionali, cui si aggiunge la diversa qualità dell'offerta, come emerge anche dall’articolazione territoriale dei tassi di soddisfazione dei cittadini nelle varie regioni. Ed anche la mobilità sanitaria interregionale certifica tale diversità, e mostra come i cittadini tendano a correggerne spontaneamente gli effetti perversi, recandosi nei contesti territoriali in cui l'offerta di cui hanno bisogno è disponibile e della qualità attesa. 

In terzo luogo la crescita di consapevolezza rispetto alla qualità della vita e delle cure, alla importanza della promozione della salute e della prevenzione, ed a quella della riabilitazione e del reinserimento attivo, ha portato alla luce il peso dei mancati diritti nella comunicazione e informazione, nel consenso informato, nell’empowerment  e nella dignità umana.

Le evidenze della ricerca empirica a questo proposito vanno tutte nella direzione della sottolineatura della presenza di una carenza dalle implicazioni squisitamente culturali, con forte attinenza alle tematiche degli stili di vita, della libertà individuale, della responsabilità etica degli operatori, della utilizzazione degli strumenti di informazione, comunicazione e ascolto sociale. Ne deriva la necessità di una maggiore enfasi sui processi di mediazione e scambio interpersonale tra domanda e offerta, sulla appropriatezza delle cure, e sulla democrazia partecipativa nell’ambito della salute, intesa come strumento di attuazione di una forma avanzata e moderna di autoregolazione comunitaria, filtrata attraverso i principi democratici dell’uguaglianza delle opportunità.

Qualunque ne sia la causa, e qualsivoglia ne siano le caratteristiche, il tentativo di ristabilire il dovuto rispetto dei diritti dei malati in sanità implica una azione di revisione e miglioramento del rapporto tra domanda ed offerta almeno a tre livelli:

-    il livello “micro” del trade-off clinico, cioè del concreto dispiegarsi del rapporto tra individuo e operatori e tra individuo e strutture sanitarie, da rivedere in termini di corretto sviluppo di una clinical governance attenta alla equità di accesso, alla valutazione della domanda e del rischio clinico, alla compensazione delle differenze di partenza;

-    il livello “meso” della organizzazione dei servizi, nel quale riversare gli sforzi relativi ai processi di offerta, alla democrazia partecipativa, alla appropriatezza prescrittiva, alla regolazione degli accessi, alla formazione degli operatori;

-    il livello “macro” dello sviluppo complessivo del sistema e del rapporto con il contesto e con le altre politiche, nel quale preoccuparsi delle compatibilità tra salute, cultura ed economia, e dei ruoli istituzionali, in termini di integrazione delle politiche e di servizi sul territorio. 


Carla Collicelli
Membro Comitato Etico della Fondazione Veronesi

 


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