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Oncologia
Daniele Banfi
pubblicato il 04-04-2023

Tumore della prostata a basso rischio: intervenire o aspettare?



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Quando la malattia è a basso rischio occorre valutare insieme al paziente i pro e i contro delle diverse strategie di intervento. La mortalità non cambia a seconda della strategia scelta

Tumore della prostata a basso rischio: intervenire o aspettare?

Nel tumore della prostata a basso rischio la mortalità rimane estremamente bassa sia optando per l'intervento o la radioterapia sia se si decide per la sorveglianza attiva. A dimostrarlo è lo studio ProtecT pubblicato sulle pagine del New England Journal of Medicine. Un risultato importante, ottenuto osservando i casi di malattia per oltre 15 anni, che dimostra quanto sia importante comunicare al paziente tutti i pro e i contro delle differenti strategie.

CHE COS'È IL TUMORE DELLA PROSTATA?

Il tumore alla prostata è la neoplasia più diffusa negli uomini. Nel 2022, secondo i dati pubblicati nel volume "I numeri del cancro in Italia 2022" dall'Associazione Italiana di Oncologia Medica, le nuove diagnosi di malattia sono state 40.500. Le sue particolari caratteristiche, insieme alla possibilità di diagnosi precoce e alla disponibilità di terapie efficaci, lo rendono una delle forme di tumore con le più alte probabilità di guarigione. A seconda dello stadio di evoluzione si procede con diverse strategie terapeutiche che comprendono la chirurgia, la chemioterapia, la radioterapia e l'ormonoterapia.

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TUMORE DELLA PROSTATA A BASSO RISCHO: INTERVENTO O SORVEGLIANZA ATTIVA?

I tumori alla prostata non sono tutti uguali. Fortunatamente, dopo i 50 anni, circa il 40% di tutte le forme appartiene alla categoria dei carcinomi prostatici a basso rischio. In questi pazienti le probabilità che il  tumore resti fermo nel tempo, non cresca e non dia luogo a metastasi e molto elevato. In sostanza si tratta di tumori che, pur presenti, non destano particolari preoccupazioni. In questi casi le soluzioni terapeutiche ottimali sono chirurgia, radioterapia o sorveglianza attiva, ovvero un monitoraggio ciclico delle condizioni della malattia per eventualmente intervenire in caso di progressione. Quest'ultima strategia nasce dal fatto che i trattamenti classici sono inevitabilmente associati a una certa probabilità di riportare effetti collaterali che possono determinare un significativo impatto sulla qualità di vita. Ed è proprio sulla comparazione di queste strategie che si è concentrato lo studio pubblicato sul New England Journal of Medicine

Dalle analisi, frutto di un'osservazione durata 15 anni, è emerso che la mortalità per tumore alla prostata a basso rischio è risultata estremamente bassa indipendentemente dalla strategia di cura scelta, ovvero chirurgia, radioterapia o sorveglianza attiva. Non solo, la mortalità per qualsiasi causa è risultata simile nei 3 gruppi, nella maggior parte dei casi per patologie cardiovascolari o respiratorie o per altri tumori. Un risultato che gli autori dello studio hanno commentato con una presa di posizione del tutto salomonica: la scelta della terapia comporta un attento bilancio dei pro e dei contro associati ai trattamenti.

LE LINEE GUIDA ITALIANE

Ma cosa accade già oggi nel nostro Paese quando ci troviamo di fronte a questo genere di tumori? Secondo le linee guida di AIOM la sorveglianza attiva è contemplata nei soli casi a rischio basso o molto basso, quando l'aspettativa di vita è maggiore di 10 anni, solo all’interno di rigorosi programmi di follow-up, basati sulla ripetizione sistematica delle biopsie prostatiche, del dosaggio del PSA, della visita clinica e, in casi selezionati, della risonanza multiparametrica. La raccomandazione è dunque la seguente: nei pazienti affetti da carcinoma prostatico localizzato, a rischio molto basso o basso, la sorveglianza attiva dovrebbe essere presa in considerazione fra le possibili opzioni terapeutiche da offrire a questi pazienti, purché essi siano informati adeguatamente sui potenziali vantaggi e svantaggi e purché siano inseriti in protocolli rigorosi di follow-up presso centri che abbiano adeguata esperienza con questa strategia.

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Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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