Si tratta di forme rare, ma non per questo è impossibile avere un tumore al cuore, da distinguere tra le forme benigne e maligne, primitive o secondarie (metastasi di altri tumori)
Ho un parente a cui è stato diagnosticato un tumore benigno al cuore: di cosa si tratta?
Sonia N. (Olbia)
Risponde Marco Zanobini, cardiochirurgo del Centro Cardiologico Monzino di Milano
Si tratta di forme rare, ma non per questo è impossibile avere un tumore al cuore, da distinguere tra le forme benigne e maligne, quelle primitive o secondarie (metastasi di altri tumori). Nel caso del suo parente mi sembra di capire che si tratti di un mixoma, corrispondente a più della metà dei tumori benigni che possono colpire il muscolo cardiaco. La maggior parte dei casi colpisce l’atrio sinistro.
La massa tumorale, che non è destinata a generare metastasi, ma può ripresentarsi a qualche anno di distanza (recidiva), origina più spesso dalla fossa ovale, un’area posta sul setto che separa i due atri. In alcuni casi la sua formazione si osserva a partire dall’anello mitralico che regola il flusso di sangue dall’atrio al ventricolo sinistro, o dalla vena cava inferiore. Un mixoma di dimensioni medie rassomiglia a una piccola medusa, con un diametro di 6-8 centimetri, ed è quasi sempre rivestito da un trombo.
È questo uno degli aspetti da tenere in maggiore considerazione, visto che il frazionamento della massa e il conseguente distacco di materiale tumorale o trombotico può favorire l’insorgenza di episodi di ischemia cerebrale, con un danno neurologico correlato alla sede e alla dimensione dell’evento. Altri segni cui fare attenzione possono essere: le improvvise alterazioni dello stato di coscienza, l’affanno, le vertigini e le sincopi. La presenza del mixoma, però, è spesso asintomatica.
Così non di rado capita di scoprirlo in maniera occasionale: durante una visita medica sportiva o effettuata per lavoro. L’elettrocardiogramma, in questo caso, dice poco. Molto più efficace, invece, è l’ecocardiogramma color-doppler, che restituisce un’immagine definita della massa tumorale. Una risonanza magnetica effettuata successivamente può fornire indicazioni più precise circa l’impianto, la forma, le connessioni e le dimensioni della massa.
Una volta fatta la diagnosi, la soluzione terapeutica è unica e corrisponde all’asportazione della massa, effettuata a cuore aperto.
Il momento dell’intervento viene deciso sulla base degli eventuali eventi ischemici già registrati. Qualora non ce ne fossero stati, tra la diagnosi e l’operazione possono passare anche alcuni giorni. Completamente diverso, invece, è l’inquadramento dei tumori cardiaci maligni. Le forme primitive (mesoteliomi, angiosarcomi, rabdomiosarcomi, fibrosarcomi) traggono origine dalle stesse cellule del cuore, ma quelle più diffuse sono le secondarie, in cui al cuore arrivano le metastasi di tumori presenti in altre parti del corpo.
In questo caso l’intervento chirurgico non è scontato, ma rappresenta un’opportunità da valutare sulla base delle condizioni cliniche del paziente. È importante che il cardiochirurgo riesca a esaminare il paziente assieme all’oncologo, al fine di unire competenze specifiche ed ottenere quindi il miglior inquadramento e trattamento per il paziente.
Durante l’intervento chirurgico si ricorre spesso all’utilizzo di crioterapia, un trattamento che con il freddo comporta l’ustione e quindi la necrosi delle cellule tumorali.