Nelle strutture a quadrupla elica del Dna, Anna Maria Malfitano cerca una possibile risposta per fermare la progressione tumorale
Non solo doppia elica. Insieme alla struttura a due filamenti legati e spiralizzati, scoperta nel 1953 da parte dei ricercatori James Watson e Francis Crick, il Dna può organizzarsi in modi diversi: una di queste modalità è chiamata di Dna G-quadruplex, una specie di quadrupla elica che viene a formarsi grazie al legame di quattro guanine vicine tra loro con il ripiegamento del filamento di Dna. Sebbene il funzionamento del Dna G-quadruplex non sia completamente compreso, sembra che queste strutture si formino nelle zone chiamate telomeri, le regioni terminali dei cromosomi, ricche di sequenze ripetute con molte guanine. Dopo ogni divisione cellulare i telomeri si accorciano, fino a non permettere ulteriori divisioni alle cellule.
Molti tumori, invece, allungano i telomeri grazie all’azione dell’enzima Dna telomerasi per sfuggire alla normale regolazione cellulare e dividersi in maniera incontrollata. Ma le strutture G-quadruplex sembrano inibire l’azione dell’enzima, permettendo dunque di mantenere il normale funzionamento dei telomeri e bloccare lo sviluppo tumorale.
Anna Maria Malfitano, ricercatrice sostenuta da Fondazione Umberto Veronesi, studia come stabilizzare e cristallizzare queste strutture, usandole come arma contro i tumori.
Anna Maria, raccontaci qualcosa di più sulla tua ricerca.
«Nel mio lavoro sperimenterò nuove molecole capaci di legare particolari strutture del DNA, dette G-quadruplex: il mio obiettivo è stabilizzare queste strutture facendole cristallizzare in modo da favorire la senescenza – cioè la non proliferazione – delle cellule tumorali. Legando specificamente le strutture G-quadruplex, inoltre, si può indurre la morte cellulare attraverso la modulazione di particolari metaboliti».
Come potrai capire se il processo sta funzionando?
«Gli effetti saranno valutati in alcuni tipi di tumore come quello del colon, della prostata e del seno, utilizzando linee cellulari con diversa capacità di formare metastasi. In particolare, valuteremo la sopravvivenza, il ciclo e la morte delle cellule tumorali. Inoltre effettueremo uno studio comparativo per confrontare l’efficacia delle molecole capaci di legare e stabilizzare i G-quadruplex rispetto ai chemioterapici già utilizzati, valutandone anche gli effetti collaterali su cellule normali. Infine, studieremo se le strutture di Dna G-quadruplex aggregate e cristallizzate possano indurre la risposta delle cellule del sistema immunitario contro il tumore».
Quali sono le possibili applicazioni per la cura dei pazienti?
«I risultati di questo progetto serviranno per capire le potenzialità di nuove sostanze anti-cancro specifiche per il tumore. Inoltre, se riusciremo a provare che la stabilizzazione delle strutture G-quadruplex favorisce l’induzione della risposta immunitaria contro il tumore, si potrebbero aprire nuove prospettive nel campo di ricerca dell’immunoncologia».
Anna Maria, sei mai stata all’estero per una esperienza lavorativa?
«Si, sono stata a Londra subito dopo la laurea».
Cosa ti ha lasciato questa esperienza?
«È stato un periodo di formazione impegnativo perchè all’inizio ho dovuto imparare cose del tutto nuove, ma allo stesso tempo mi ha aiutato a sviluppare capacità critiche e a lavorare in maniera autonoma. Mi ha aiutato a crescere professionalmente e come persona. Venendo dal sud, certamente mi è mancata l’Italia per il clima e per il mare, ma allo stesso tempo ho avuto la possibilità di scoprire luoghi splendidi e nuove culture».
Cosa ti piace di più della ricerca?
«Lo studio, la possibilità di aggiungere qualche tassello alla conoscenza: è un lavoro splendido che dà la possibilità di studiare e scoprire».
Cosa invece eviteresti volentieri?
«Il precariato, troppo lungo ed estenuante».
Ricordi l’episodio o il momento in cui hai capito che la tua strada era quella della scienza?
«Certamente: quando ho scelto un altro lavoro che poteva darmi maggiore sicurezza economica, ma dopo poco tempo mi sono accorta di essere insoddisfatta e che mi mancava la ricerca. Così sono tornata sui miei passi!».
Raccontaci un momento della tua vita professionale che vorresti incorniciare e uno da dimenticare.
«Il momento che vorrei incorniciare è proprio questo: la vincita di questa borsa della Fondazione Umberto Veronesi ha rappresentato per me un nuovo inizio. Dimenticherei volentieri un periodo in cui qualcuno ha provato a farmi perdere la fiducia in me stessa e in questo lavoro, un periodo in cui mi è stato chiesto di farmi da parte. Ma alla fine tutto aiuta a crescere, anche le esperienze negative».
Pensi che la scienza e la ricerca abbiano dei lati oscuri?
«Non è la scienza in sé ad avere lati oscuri, ma credo sia ancora oscuro a molti, anche alla classe politica, il potenziale enorme che essa racchiude. Bisognerebbe capire che la ricerca non è fine a sé stessa, ma investire nella ricerca aprirebbe nuove prospettive e speranze, e metterebbe l’Italia al pari di altre nazioni».
Hai un ricordo di bambina a cui sei particolarmente affezionata?
«Sicuramente il ricordo più caro è legato a mia madre. Nelle vacanze di Natale quando lei era indaffarata in cucina a preparare dolci adoravo starle vicino e aiutarla per vedere come riusciva, mescolando gli ingredienti, a realizzare prelibatezze che cercavo puntualmente di rubare e mangiare senza farmi vedere».
Raccontaci una «pazzia» che hai fatto.
«Prendere un aereo all’ultimo mese di gravidanza e con la febbre alta per un colloquio per una borsa di ricerca».
Cosa avresti fatto se non avessi fatto la ricercatrice?
«Ho studiato per molti anni recitazione, mi sarebbe piaciuto essere attrice di teatro».