NOTE BIOGRAFICHE
• Nato a Napoli nel 1984
• Laureato in Medicina e Chirurgia all’Università di Napoli Federico II
• Specializzazione in Cardiologia all’Università di Napoli Federico II
• Nato a Napoli nel 1984
• Laureato in Medicina e Chirurgia all’Università di Napoli Federico II
• Specializzazione in Cardiologia all’Università di Napoli Federico II
La terapia anticoagulante ha un ruolo centrale nella prevenzione dell'ictus cerebrale e del tromboembolismo (l’occlusione di vasi sanguigni causata da un trombo) nei pazienti che soffrono di fibrillazione atriale. Dati recenti suggeriscono che possa esistere un maggior rischio di infarto del miocardio con i nuovi farmaci anticoagulanti (non-Vitamin-K antagonists, NOAC) rispetto allo standard terapeutico rappresentato dagli Antagonisti della Vitamina K (VKA). Dal momento che il 20-40% dei pazienti affetti da fibrillazione atriale presenta una concomitante malattia aterosclerotica coronarica, noto fattore di rischio per l’infarto cardiaco, la scoperta di un eventuale maggior rischio legato ai nuovi farmaci anticoagulanti avrebbe importanti ricadute cliniche e terapeutiche. Questo studio confronterà gli effetti di un VKA (il warfarin) rispetto a due NOAC (il dabigatran e il rivaroxaban) sulla funzionalità piastrinica in pazienti affetti da fibrillazione atriale non-valvolare. L’obiettivo è quello di verificare se le piastrine, che svolgono un ruolo cruciale nello sviluppo delle sindromi coronariche acute e quindi dell'infarto miocardico, si comportino in maniera diversa a seconda del tipo di anticoagulante assunto. A questo scopo saranno arruolati 54 pazienti cui verranno sequenzialmente somministrati i tre farmaci. La valutazione della funzionalità piastrinica avverrà dopo la fine di ogni ciclo di terapia e permetterà di stabilire se vi è una variazione dell'attività piastrinica tra i diversi trattamenti.
Ospedale Santa Corona di Pietra Ligure (SV)
Gli stent coronarici sono dispositivi medici che vengono normalmente impiegati nella pratica clinica per il trattamento della malattia coronarica (riduzione afflusso di sangue al cuore). Attualmente, la struttura di uno stent consiste in una parte metallica, un farmaco antiproliferativo, che inibisce la formazione di una nuova ostruzione nel’arteria, ed un polimero che collega il farmaco allo stent. Recentemente sono stati sviluppati stent di nuova generazione: gli stent medicati biodegradabili. Si caratterizzano per la degradazione del polimero in acqua e anidride carbonica dopo aver rilasciato il farmaco. Nonostante diversi studi clinici randomizzati abbiano valutato gli stent biodegradabili, i dati a lungo termine, per periodi superiori a un anno, restano scarsi. Lo scopo dello studio è quindi i valutare i dati di efficacia e sicurezza a 5 anni degli stent biodegradabili in un registro prospettico che ha incluso una popolazione di oltre 3000 pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica. I risultati potrebbero avere importanti implicazioni cliniche nella gestione dei pazienti affetti da cardiopatia ischemica e allo stesso tempo contribuire a migliorare la conoscenza sui benefici degli stent biodegradabili. Infatti, è stato dimostrato un potenziale “tossico” per i polimeri almeno per le prime generazioni di stent medicati (non in uso) e quindi la valutazione dei risultati clinici dopo degradazione del polimero, che avviene dopo un anno, sono indispensabili per valutare correttamente questa nuova tecnologia medica.
Ospedale Santa Corona di Pietra Ligure (SV)