Parla il grande fotografo che per la Fondazione ha ideato la campagna 2014 di raccolta fondi a sostegno dei giovani ricercatori
C’era da pensare a una campagna per Fondazione Veronesi sui giovani ricercatori, un’azione importante, a sostegno dell’intelligenza di chi ci farà vivere meglio e lavora per combattere il cancro e le altre malattie di cui tutti noi siamo vittime. Una campagna di cui siamo tutti destinatari, perché la malattia non guarda in faccia nessuno.
Così mi sono detto: voglio vederli in faccia questi ricercatori. Ho chiesto che venissero nel mio studio di Milano e quando sono arrivati ho cercato subito di catturare il loro sguardo. Alcuni erano sorpresi di essere stati chiamati per la campagna, tutti avevano questo sguardo penetrante, curioso. Ho pensato: è il momento di fare le foto, adesso, prima che si perda questo aspetto sincero. Ho detto: “Venite, facciamo qualche test”. C’era una bella luce, c’era un muro grigio, li ho fatti mettere lì di fronte.
Ho cercato di fotografare i loro sguardi, la loro anima, la loro intelligenza. Domandavo: “Cosa fai? Parlami del tuo lavoro”. E mi spiegavano, raccontavano di esperimenti, di cellule, cose pazze per me, che non capisco niente di medicina. Però erano molto presi, con grande entusiasmo e pazienza cercavano di far capire a un asino come me quello che facevano. I loro occhi erano concentrati nello sforzo e accesi di passione.
Poi è venuto lo slogan: O la borsa o la vita. Breve, diretto e vero. E’ una semplificazione, ma è una verità. Dalle borse di ricerca dipende la possibilità per loro di lavorare, e da questa dipende la nostra vita. Non volevo i soliti sorrisi seduttivi e imbellettati, mi dà fastidio la falsa seduzione che di solito si usa nella comunicazione. In questo caso volevo che ci si guardasse dritti in faccia.
L’ho detto una volta anche al professor Veronesi: “Perché non si mettono in Borsa i cervelli dei giovani? Invece di quotare auto, moda, lusso o altro”. Io non investo in niente, ma una Fondazione che investe nella curiosità e nell’intelligenza dei giovani, allora sì... Invece di farli scappare all’estero, come accade in Italia.
Fare il mestiere del ricercatore vuol dire guardare nel futuro, richiede molta curiosità e anche generosità perché non si è sicuri del risultato di ciò che si sta facendo, ma si mettono a disposizione il proprio tempo e il proprio talento per una speranza. Ci vuole coraggio. Il ricercatore non deve solo essere intelligente, ma deve essere un folle, capace immaginare una strada diversa da quella che percorrono tutti, che non è detto sia quella giusta. Sono convinto che in fondo chi fa ricerca debba avere una grande percentuale di spirito artistico.
Oliviero Toscani
(testo raccolto da Donatella Barus)