Di Chiara Civera, Cecilia Casalegno, Elena Candelo
Quando si parla di CSR oggi – nella sua accezione tradizionale di Corporate Social Responsibility o Responsabilità Sociale d’Impresa – un numero crescente di accademici, ricercatori e professionisti si trova d’accordo nel decretarne il fallimento a più livelli: dal punto di vista contenutistico, strategico e operativo. L’osservazione delle trasformazioni, dapprima lente e volontarie e poi repentine e obbligatorie, degli obiettivi e del peso crescente della funzione CSR in azienda, ha condotto la comunità scientifica e professionale ad un ripensamento dei tratti distintivi della CSR stessa. In un articolo del 2012, Wayne Visser argomenta le ragioni del fallimento della CSR come sistema di business, governance ed etica, spiegando che gli approcci più comuni alla CSR utilizzati dalle imprese negli ultimi trent'anni sono stati legati a sistemi poco flessibili e poco integrati tra le funzioni aziendali, concentrati principalmente su un’ottica residuale di CSR quale puro strumento di comunicazione e di marketing, riducendo così le potenzialità di tale funzione di assolvere agli obiettivi, se non obblighi, di sostenibilità sociale, ambientale ed economica in una logica integrata.
A tal proposito, un grande salto concettuale legato al paradigma manageriale della Corporate Social Responsibility si sottolinea rispetto alla logica residuale e integrata di sua concezione, prima, e implementazione, poi. In linea con i principi di integrazione che guidano la rivoluzione della sostenibilità, nell’ambito della quale persino il paradigma di Triple Bottom Line postulato da John Elkington nel lontano 1994 è stato richiamato all’ordine nel 2018 con l’ammissione che imprese, organizzazioni e cittadini ne avessero mal interpretato connotati e implicazioni per decenni, "Persone, Pianeta e Profitto" devono essere intese come dimensioni interconnesse che si influenzano positivamente e vicendevolmente, superando l’ottica residuale miope di pura misurazione di impatti e abbracciando una logica che si lega e modifica il DNA dell’impresa.
È evidente che, per far fronte alla realizzazione di obiettivi sostenibili integrati, anche il paradigma manageriale della CSR debba essere ripensato sotto la stessa lente di ingrandimento. Perché la Responsibility, quindi, è solo Social? Inoltre, perché, in un panorama legislativo che auspica un maggior numero di imprese operanti in settori diversi e di dimensioni anche più piccole coinvolte nella reportistica integrata (si pensi alla Direttiva CSR del 2021 da parte della Commissione Europea), il termine Corporate, chiaramente identificativo di imprese di grandi dimensioni, domina ancora l’acronimo CSR? Senza contare che il legame imprescindibile tra responsabilità d’impresa e approccio agli stakeholder sia ormai fatto noto, in termini di accountability e strategia d’impresa. Quando le imprese sono chiamate a comunicare il proprio impegno sostenibile attraverso una reportistica dedicata e/o integrata, infatti, queste tipicamente evidenziano, in primis, la descrizione della relazione e delle forme responsabili di interazione con i propri portatori di interesse: gli stakeholder. La matrice di materialità e l’identificazione dei canali di dialogo da e verso gli stakeholder ne sono esempi lampanti. Inoltre, la logica di creazione di valore che guida oggi le strategie delle imprese ha, non solo incorporato lo stesso approccio di costruzione di relazioni virtuose con gli stakeholder a sostituzione di logiche basate sulla pura transazione per massimizzare il valore per gli shareholder, ma è sempre più guidata da logiche di co-creazione di valore. A tal proposito, le imprese integrano i processi di creazione di valore con i propri stakeholder, che non si pongono più come meri portatori di interesse ma quali partner di creazione di valore sociale, economico e ambientale.
La responsabilità che l’impresa è portata ad assumere è, dunque, una responsabilità verso tutti gli stakeholder ma anche condivisa con tutti gli stakeholder, che hanno interessi molteplici, ruoli dai confini labili e potenzialità di moltiplicare e amplificare il valore che le imprese si propongono di creare. L’ integrazione dei diversi attori coinvolti nel processo decisionale rappresenta un elemento fondamentale per la definizione di obiettivi comuni, trasparenti e condivisi, e rappresenta una vera rivoluzione. L'approccio basato sulla co-creazione di valore volto a promuovere un'economia e una società sostenibili, sta gradualmente sostituendo il modello tradizionale dell'impresa che stabilisce le regole di mercato e reagisce ai cambiamenti emergenti dai consumatori e dalla società in generale. Questo nuovo approccio favorisce un progetto di crescita sostenibile condiviso, in cui tutti gli stakeholder partecipano attivamente, cooperano e collaborano per il bene comune. In questo scenario, si assiste a un cambiamento non solo nella natura delle relazioni tra gli stakeholder, ma anche rispetto alle definizioni delle dinamiche di potere, di dipendenza e di priorità dei loro interessi. La responsabilità delle imprese acquisisce, quindi, un significato molto più ampio, che va oltre la sfera "sociale" – ossia quell’ambito in cui la CSR è stata a lungo relegata e che ne ha fortificato la percezione di residualità rispetto agli altri diversi obiettivi dell’impresa – per estendersi ed integrarsi con tutti gli stakeholder, creando valore economico, sociale ed ambientale. Continuare a riferirsi alla CSR come responsabilità sociale d’impresa implica, infatti, una separazione tra la responsabilità aziendale e la responsabilità verso la società, una dicotomia che dovrebbe essere considerata superata, poiché è intrinsecamente impossibile separare le persone (sfera sociale) dal mondo degli affari (sfera economica). In realtà, sono le decisioni e le relazioni che si sviluppano tra queste due dimensioni che creano o distruggono valore all'interno e all'esterno dell'impresa stessa.
Ecco perché, diversi accademici hanno contribuito, nel tempo, ad adattare, modificare e raffinare lo stesso acronimo di CSR, per allargarne i confini di applicazione, seguendo una logica di integrazione. Con il termine CSR “integrata”, per esempio, nel 2010 Freeman e i suoi coautori intendono concettualizzare la CSR in ottica evolutiva per rafforzarne il carattere e la configurazione relazionale e orientata agli stakeholder. Gli autori chiariscono che implementare processi e attività di CSR integrata non significa aggiungere responsabilità addizionali alle attività di business ma, al contrario, sottintende una riconfigurazione dei modelli di business stessi, del modo di approcciarsi al mercato e alla società, di instaurare relazioni e di concepire il potere e il valore morale di ogni stakeholder legato al business. Nel 2006, Freeman e Velamuri adattano l’acronimo CSR al significato di Company Stakeholder Responsibility. L’accento di questa definizione è posto non solo sulla responsabilità delle imprese di grandi dimensioni, bensì, sostituendo al termine Corporate quello più generale di Company, gli autori includono le piccole e medie imprese, che, peraltro, in Europa rappresentano il motore della crescita economica, sociale ed ambientale, ribadendo che le attività delle imprese, indipendentemente dalla loro dimensione, debbano necessariamente integrarsi con le necessità di tutti gli attori legati ad esse. La dimensione sociale della responsabilità (Social nell’acronimo originale) ha lasciato il passo al termine Stakeholder, ad indicare che l’obiettivo principale della CSR sia la co-creazione di valore con tutti gli attori, contrapposta alla massimizzazione di valore per gli shareholder (investitori, azionisti). In tal senso, la responsabilità dell’impresa non può trascendere dagli obiettivi molteplici del business e delle persone (stakeholder) ad esso direttamente o indirettamente collegate e diventa così un fattore “igienico”, imprescindibile, unica leva per il raggiungimento di obiettivi di lungo periodo.
Quanto detto evidenzia l’importanza di lavorare sulla costruzione ed il mantenimento di relazioni stabili e responsabili con tutti gli stakeholder, ancora spesso influenzati da pregiudizi verso le comunicazioni di sostenibilità delle aziende, e mette in luce la criticità della gestione di una comunicazione di CSR che deve essere altrettanto integrata, trasparente, circolare e multi-direzionale, proprio perché indirizzata ad audience eterogene e finalizzata a costruire una reputazione sostenibile nel lungo periodo.
Proprio la comunicazione, in quanto funzione strategica trasversale ed integrata, ha il compito principale di sostenere e proteggere tale reputazione, mantenendo un dialogo con gli stakeholder. Si crea così un processo che vede comunicazione, responsabilità e reputazione a sistema. Le attività di comunicazione sono tanto più efficaci quanto più sia raggiunto un buon equilibrio tra promesse ed azioni di CSR. D'altra parte, come detto, la Company Stakeholder Responsibility (CSR), anch'essa una funzione strategica integrata, ha molteplici obiettivi nelle sfere ambientale, sociale ed economica, derivanti dal dialogo e dalle relazioni di valore con gli stakeholder. Anche in questo caso le attività di CSR sono tanto più efficaci quanto più si è raggiunto un buon equilibrio tra quanto promesso e quanto effettivamente raggiunto.
Le situazioni di disequilibrio tra la funzione comunicazione e la funzione CSR possono sfociare in due scenari, a seconda che prevalga l’una piuttosto che l’altra.
La prima situazione prevede la preponderanza della comunicazione con scopi diversi rispetto ad informare sulle azioni e risultati di CSR e si può definire con il nome di CSR over communication. Si tratta dell’utilizzo della CSR come “semplice” driver della comunicazione, in ottica residuale e, quindi, come strumento per la costruzione, difesa e miglioramento della reputazione e come mero metodo per migliorare le percezioni dell’audience verso il brand.
L’organizzazione “virtuosa”, ossia quell’organizzazione che raggiunge i risultati legati alla CSR coerenti con il core business e con tutti gli stakeholder, per contro, può ricadere nell’errore di non comunicare le azioni a favore della sostenibilità sociale, ambientale oltre che quella economica, e questo silenzio si può definire come CSR under communication. Questo atteggiamento può essere percepito dai pubblici di riferimento come volontà di nascondere azioni poco etiche o promesse di CSR non mantenute. Quindi, la reazione delle audience avrà impatti altrettanto negativi sulla fiducia e la creazione di una relazione di lungo periodo tra impresa e stakeholder.
L’equilibrio tra promesse di CSR e performance realmente raggiunte è un obiettivo difficile da ottenere, così come da comunicare. È necessario che i manager delle due funzioni collaborino e si interfaccino costantemente, perché attraverso la comunicazione non venga data enfasi alle promesse ma spazio alle azioni e ai risultati collegati. È questa la comunicazione di CSR che è possibile definire come “integrata”, efficace anche in un contesto, quello odierno, caratterizzato da una grande complessità di relazione, che affonda le sue radici nello scetticismo, nella bulimia di ricerca di informazioni da parte del pubblico, nel difficile equilibrio tra il dire e il fare.