Le imprese Sociali italiane nel contesto internazionale

Negli ultimi decenni il tema delle imprese sociali ha acquisito sempre più importanza sia in Italia che all’estero. Questo, se da un lato ha portato la giusta notorietà ad un modello organizzativo d’impresa degno di nota, dall’altro lato sta portando al rischio di creare una possibile confusione sul reale senso e significato del termine impresa sociale.


In altri termini, cosa sono veramente le imprese sociali? Ed in particolare, che caratteristiche hanno le imprese sociali italiane rispetto ai modelli presenti nel resto del mondo?
L’obiettivo del presente contributo è quello di rispondere alle sopra elencate domande e di aprire una riflessione sul vero concetto e significato d’impresa sociale.

1. L’evoluzione storica

In Italia, esempi primordiali d’imprese sociali possono essere riscontrati in epoca medievale durante la quale la società civile si organizzava autonomamente attraverso opere a carattere economico, ma con finalità sociale (Muir 1999). Del resto, i primi ospedali, banche ed università sono tutti nati in questo periodo con il medesimo scopo: raggiungere obiettivi sociali di aiuto ai più bisognosi attraverso lo svolgimento di attività economiche d’impresa. Ovviamente va ricordato che in questo momento non si è ancora in presenza di vere e proprie imprese, ma solo di attività economiche organizzate per scopi sociali.

Un secondo periodo di sviluppo molto importante è avvenuto nel corso della seconda parte del diciannovesimo secolo quando movimenti di natura socialista e cattolica hanno operato nella società del nascente Stato italiano per aiutare le persone più in difficoltà attraverso, per esempio, le società di mutuo soccorso, le prime cooperative, e altre forme di organizzazioni con finalità sociali che svolgevano una forma di attività economica (Borzaga 2004; Ianes 2016).

Tuttavia, secondo Poledrini e Borzaga (2021) per parlare in senso moderno d’impresa sociale occorre arrivare a cavallo tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80 del secolo scorso. Durante questi anni, a seguito delle forti crisi di natura economica (crisi petrolifera, inflazione, riduzione del PIL italiano) e sociale (aumento della povertà media, dipendenza dalle droghe e chiusura dei manicomi con il ritorno a casa dei pazienti), alcuni privati cittadini si sono organizzati dando vita a nuove forme d’impresa con finalità sociale. Infatti, l’obiettivo di queste nuove organizzazioni era quello di rispondere ai bisogni emergenti ai quali lo Stato italiano non riusciva a far fronte. In questi anni, il gravoso deficit pubblico e la lontananza dello Stato dal mondo dei bisogni reali ed emergenti dei cittadini italiani impedivano ai servizi sociali pubblici di essere in grado di soddisfare appieno le esigenze della collettività. Tali nuove realtà inizialmente presero la forma giuridica di cooperative e assunsero il nome di “cooperative di solidarietà sociale”, perché la forma sociale di cooperativa sembrava la più opportuna per interpretare al meglio la nuova attività economica (Marzocchi 2012). Tuttavia, queste nuove forme di cooperazione si sono distinte dalle precedenti già esistenti nel territorio nazionale per il fatto di non adottare il principio di mutualità, ma di rivolgere il proprio operato sociale verso l’intera collettività, bisognosa di tali servizi. Forse in questo aspetto risiede il successo di questo nuovo modello organizzativo che si è talmente diffuso nel territorio nazionale italiano da costringere il legislatore a fare una legge ad hoc che regolasse tale fenomeno.

Pertanto, nel 1991 con l’emanazione della legge n. 381 per la prima volta al mondo veniva regolata l'impresa sociale. Infatti, secondo tale norma, le nuove forme d’impresa, chiamate “cooperative sociali”, dovevano perseguire l'interesse generale della comunità. Tale interesse deve essere volto alla promozione umana e all'integrazione sociale dei cittadini attraverso la gestione dei servizi sociosanitari e educativi o una qualsiasi attività economico-produttiva, purché finalizzata all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate. La presente norma ha avuto talmente successo, non solo in Italia dove le cooperative sociali sono le prevalenti, se non le uniche vere e proprie forme di impresa sociale, ma anche a livello internazionale. Infatti, molte nazioni quali l’Inghilterra, la Francia, la Spagna e il Portogallo, solo per citarne alcune, hanno preso spunto dal modello italiano per legiferare a livello nazionale.

Oltre all’obiettivo sociale, le cooperative sociali italiane si contraddistinguono dal punto di vista economico e patrimoniale per avere un limite alla distribuzione degli utili (art. 2545- quater del cod. civ.) e il così detto “asset lock” (blocco delle risorse), cioè il completo divieto della distribuzione ai membri del patrimonio netto e dei dividendi eventualmente maturati. Questi, invece devono essere assegnati ai fondi comuni d’investimento per la promozione e lo sviluppo della cooperazione. Inoltre, la governance di queste organizzazioni si caratterizza per essere democratica, attraverso il rispetto del principio cooperativo di “una testa un voto”, e “multistakeholder”, cioè per l'intera collettività.

Successivamente, l’ordinamento giuridico italiano ha introdotto l’istituto del’impresa sociale, detta anche impresa sociale ex lege, con la legge n. 118/2005 e il successivo decreto legislativo n. 155/2006. Praticamente, tali norme hanno introdotto il principio del pluralismo delle forme organizzative, in base al quale la forma giuridica adottata non è più una condizione per l’ammissibilità a svolgere l’attività sociale come scopo prevalente. La legge, infatti, introduce la categoria giuridica dell’impresa sociale e una gamma diversificata di settori di attività nei quali può operare rispetto alla legge n. 381/91. Così, oggi, un’organizzazione può essere legalmente riconosciuta come impresa sociale a prescindere dalla sua forma giuridica, purché soddisfi i requisiti stabiliti dalla legge.

Per ultimo, più recentemente sono state create le società benefit a partire dal 2016. In particolare, la normativa di settore ha consentito alle società lucrative (e mutualistiche) di perseguire, nell’esercizio della loro attività economica, anche una o più finalità di beneficio comune operando in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di tutti coloro e dell’intero contesto – lavoratori, comunità locali, territori, ambiente, ecc. – che in quanto portatori di interessi vengono in contatto con la loro attività. In altre parole, le società benefit sono un esempio di organizzazione con una dual mission: economica e sociale, configurandosi come vere e proprie organizzazioni ibride.

Ad oggi è ancora presto per poter misurare il successo della presente forma giuridica, mentre sicuramente la categoria giuridica dell’impresa sociale ex lege non è decollata e le cooperative sociali rimangono la prevalente tipologia di impresa senza scopo di lucro al’interno del settore non-profit italiano. In sintesi, le cooperative sociali si caratterizzano per avere una chiara missione sociale, al pari delle altre tipologie di organizzazioni non-profit, ma rispetto a queste ultime si differenziano per il fatto che tale mission è raggiunta attraverso un’attività d’impresa vera e propria. Per questo duplice motivo, l’aspetto sociale e l’autosufficienza economica, le cooperative sociali possono acquisire un importante e strategico ruolo per lo sviluppo di un contesto economico e sociale (Poledrini & Tortia 2020).

 

2. Il modello italiano delle imprese sociali rispetto al resto del mondo

Per analizzare il modello italiano delle imprese sociali, rispetto a quelli presenti nel resto del mondo, può essere utile seguire l’impostazione data da Defourny (2001) e Defourny and Nyssens (2014) che seguendo la definizione di EMES[1] propongono una serie di variabili economiche e sociali per identificare le imprese sociali. Tra le variabili economiche si ha lo svolgimento di un’attività produttiva di beni e/o di servizi in forma continuativa. Questa, in quanto tale, genera la possibilità di un rischio economico. Un secondo aspetto è dato dalla presenza lavoratori pagati. Le imprese sociali possono beneficiare dell’aiuto di volontari, ma questi devono essere residuali rispetto al contributo dato dai lavoratori retribuiti. Per ultimo, le entrate commerciali devono superare quelle provenienti da donazioni. Anche in questo caso, queste ultime possono essere presenti, ma devono essere residuali rispetto a quelle commerciali.

Tra le variabili sociali vi è la caratteristica della ricerca di benefici a favore della collettività. Lo scopo fondamentale delle imprese sociali deve essere di tipo sociale, come per esempio servire la comunità, o uno specifico target di individui. Un ulteriore aspetto è dato dalla governance e partecipazione. Generalmente le imprese sociali sono gestite in modo tale da garantire la partecipazione di tutti, cioè indipendentemente dalla proprietà del capitale. In alcuni casi, si basano sul principio “una testa, un voto”. Naturalmente i sottoscrittori del capitale sociale hanno un ruolo importante, ma i poteri decisionali sono condivisi con gli altri portatori di interesse. Per ultimo può essere prevista una limitata distribuzione degli utili. Le imprese sociali possono essere organizzazioni caratterizzate da un vincolo distributivo totale, ma anche, come le cooperative di alcuni paesi, organizzazioni che ammettono una limitata distribuzione degli utili, con vincoli in grado di prevenire comunque comportamenti tendenti a massimizzare il profitto.

Confrontando i modelli internazionali con il caso italiano delle cooperative sociali, che, come abbiamo visto, rappresenta il principale esempio di impresa sociale presente in Italia, e le variabili appena descritte è possibile ottenere la seguente tabella.

 

 

 

Attività produttiva

Lavoratori pagati

Entrate commerciali

Scopo sociale

Governance e partecipazione

Limitata distribuzione degli utili

Cooperative sociali italiane

Maggioranza dei modelli “esteri” d’impresa sociale

No

No

No

 

 

Da un’analisi sommaria delle due macrocategorie di imprese sociali presentate: le cooperative sociali italiane e il modello di impresa sociale a livello mondale, appare che le prime sono presenti in tutte e sei le dimensioni analizzate, mentre le seconde hanno sicuramene le caratteristiche inerenti agli aspetti economici, ma non a quelli sociali in senso assoluto. Per esempio, le B-Corp perseguono uno scopo sociale, ma questo non è quello prevalente, mentre le cooperative sociali hanno esclusivamente l’obiettivo sociale di servire la comunità e l’aspetto economico è solo funzionale al raggiungimento di quello sociale.

  

Conclusioni

«È certamente vero che il mercato può essere orientato in modo negativo, non perché sia questa la sua natura, ma perché una certa ideologia lo può indirizzare in tal senso. Non va dimenticato che il mercato non esiste allo stato puro. Esso trae forma dalle configurazioni culturali che lo specificano e lo orientano. Infatti, l’economia e la finanza, in quanto strumenti, possono esser mal utilizzati quando chi li gestisce ha solo riferimenti egoistici. Così si può riuscire a trasformare strumenti di per sé buoni in strumenti dannosi. Ma è la ragione oscurata dell’uomo a produrre queste conseguenze, non lo strumento di per sé stesso. Perciò non è lo strumento a dover essere chiamato in causa ma l’uomo, la sua coscienza morale e la sua responsabilità personale e sociale. La dottrina sociale della Chiesa ritiene che possano essere vissuti rapporti autenticamente umani, di amicizia e di socialità, di solidarietà e di reciprocità, anche all’interno dell’attività economica e non soltanto fuori di essa o “dopo” di essa. La sfera economica non è né eticamente neutrale né di sua natura disumana e antisociale. Essa appartiene all’attività dell’uomo e, proprio perché umana, deve essere strutturata e istituzionalizzata eticamente» (Benedetto XVI 2009, par. 36). Queste parole di Papa Benedetto XVI esprimono molto bene il fatto che l’esistenza del settore non profit, così come delle imprese sociali esclusivamente orientate al raggiungimento di obiettivi di natura sociale, non sussistono in ragione di un fallimento dello Stato o del mercato (Salamon 1987), ma perché degli individui hanno scelto di usare strumenti economici per aiutare delle persone in difficoltà. La storia della nascita e dello sviluppo delle cooperative sociali italiane che è stata brevemente riportata, testimonia questo dato.

Pertanto, la possibilità che possano nascere ulteriori nuove forme d’impresa o che le imprese sociali già presenti si sviluppino in direzione di una più spiccata socialità non è soltanto qualcosa di possibile, ma anche di auspicabile vista la crisi sociale e ambientale nella quale l’umanità sembra sprofondare sempre più. Da questo punto di vista le cooperative sociali rappresentano un unicum a livello mondiale perché sono l’unico esempio di impresa che ha solo l’obiettivo sociale in quanto l’aspetto economico è strumentale al raggiungimento della dimensione comunitaria. Sottolineare questo aspetto non è finalizzato ad incensare le cooperative sociali, ma a prenderle come esempio di luogo in cui i «rapporti autenticamente umani, di amicizia e di socialità, di solidarietà e di reciprocità» sono possibili (Benedetto XVI 2009, par. 36).

 

 

[1] EMES è la più grande organizzazione a livello mondiale che raggruppa gli studiosi d’impresa sociale.

Torna a inizio pagina