La misurazione della sostenibilità. I problemi aperti delle metriche ESG con particolare riferimento alle PMI

Mauro Sciarelli, Professore Ordinario di Economia e gestione delle imprese presso l’Università di Napoli Federico II, cofounder di Methrica srl

In un editoriale pubblicato nel 2020 si poneva la questione dell’esigenza di misurare la performance di sostenibilità delle imprese e si evidenziava come l’applicazione degli strumenti di rendicontazione presentasse ancora lacune e comprensibili ostacoli operativi. Ormai la questione è divenuta centrale. La corporate sustainability è nella mission e nei piani strategici del management delle grandi corporation ed inizia a diffondersi in modo prepotente anche nel mondo delle PMI, che sappiamo bene costituisca l’ossatura portante del nostro sistema produttivo. Assistiamo ad una spasmodica ricerca del metodo giusto di misurazione ESG, che possa divenire lo standard generalmente riconosciuto. Società di consulenza e revisione, agenzie di rating, banche, grandi gruppi che operano nel vasto e crescente campo dei servizi per la sostenibilità – soprattutto ambientale – si confrontano nella competizione per predisporre metodologie originali e proprietarie, che possano poi trovare ampia applicazione non solo nei sistemi di controllo “captive”, ma che possano anche supportare le politiche di intervento pubblico, sempre più orientate a fattori di premialità ESG. 

Il quesito che tuttavia forse bisogna porsi è se sia possibile, o quantomeno utile, cercare uno standard metodologico universale o, piuttosto, non sia più corretto puntare a sviluppare metodologie differenziate per ambito, territorio, dimensione o tipologia d’impresa o di organizzazione, più in generale. Per essere più chiari: la metodologia di misurazione della sostenibilità di una PMI, ad esempio, può essere la medesima di una grande corporation? La domanda – almeno nella prospettiva di chi scrive - è certamente retorica; ma, per cercare di chiarire il concetto, bisogna provare ad analizzare le caratteristiche delle metodologie oggi più diffuse nel mondo della finanza sostenibile e della rendicontazione non finanziaria. 

Il presupposto sta sempre nella definizione di sostenibilità e nella molteplicità e complementarità delle sue dimensioni (economica, sociale ed ambientale), aspetto che talvolta viene dato per scontato, ma spesso nella realtà poi dimenticato, visto che in molti casi si assiste ad una forte concentrazione su alcune soltanto di tali dimensioni. D’altro canto, il cosiddetto “paradigma ESG” pur collegandosi alla natura multidimensionale della misurazione, si caratterizza per esplicitare nella G di governance l’esigenza di controllare il rispetto di principi etici e di responsabilità sociale (pari opportunità, tutela delle minoranze, …), ma lascia la misurazione della performance economica agli altri strumenti tradizionali di rendicontazione. Pertanto, per chi scrive, un primo problema aperto è combinare la logica multidimensionale della sostenibilità e l’approccio ESG. Come già sottolineato in un precedente contributo a questa newsletter, le tre dimensioni ESG devono analizzare i risultati raggiunti, o definire gli obiettivi programmatici, in termini di impatti ambientali (risparmio energetico, smaltimento e riciclo rifiuti, riduzione di emissioni, consumi idrici, economia circolare e così via), sociali (tutela dei consumatori, sicurezza dei prodotti e dei dati, supporto allo sviluppo del territorio, ecc.) e di governance (parità di genere e tutela delle minoranze negli organi, efficacia dei codici di condotta, trasparenza e comunicazione esterna, ecc.). Rispetto, quindi, alla natura tridimensionale della sostenibilità, rimarrebbe fuori dal perimetro ESG la variabile economica della performance, che del resto costituisce il presupposto di base della CSR (Carroll, 1991).

Un primo errore che capita di incontrare, quando si discute di queste tematiche, è legato alla misinterpretazione della centralità del paradigma ESG. Mettere in primo piano aspetti sociali, ambientali e di governance, non significa dimenticare che la prospettiva economica sia la base di un governo responsabile e sostenibile di un’impresa, di un’organizzazione, di un territorio o di un sistema economico. Del resto, è dimostrato in ricerche recenti (es. Friede, Busch e Bassen, 2015; Sassen, Hinze, e Hardeck, 2016; Landi e Sciarelli, 2018) che un approccio strategico ESG oriented generi un miglioramento anche della performance economica, soprattutto in termini di mitigazione del rischio e in una prospettiva di lungo termine. In realtà, la logica ESG integra la misurazione e rendicontazione della performance economica, che viene lasciata all’adozione di sistemi tradizionali o più evoluti di misurazione del valore economico. Alcuni strumenti, come il report integrato, ad esempio, cercano di mettere insieme le diverse componenti del valore allargato, intendendo con tale termine una misura integrata anche delle dimensioni sociale ed ambientale della performance.  In alcuni standard di disclosure non finanziaria, ormai diffusamente adottati nella rendicontazione, come il GRI, invece, le tre dimensioni della sostenibilità trovano riferimenti precisi negli indicatori e nelle relative linee guida (GRI 200 performance economica, 300 ambientale, 400 sociale). In quel caso gli aspetti di governance sono diffusi trasversalmente nelle tre serie di indicatori.

Lo sviluppo di sistemi di controllo direzionale e rendicontazione ESG sta divenendo imprescindibile per una serie di finalità convergenti e per l’ampliamento della platea degli utilizzatori. L’orientamento ESG è ormai necessario per motivi di compliance nei confronti degli obblighi di disclosure non finanziaria, inoltre produce un rilevante impatto sulla reputazione e sul sistema dei rischi aziendali, favorisce la possibile individuazione di nuove opportunità di business, oltre – ovviamente - a generare effetti positivi per il pianeta e per i suoi abitanti. La finalità di rilevazione, monitoraggio e reporting delle azioni che rientrano nel perimetro ESG e dei conseguenti risultati può essere interna ed esterna all’impresa. Nel primo caso, si fa riferimento all’innovazione in prospettiva ESG dei sistemi di controllo interno finalizzati a supportare le scelte manageriali per la creazione di valore allargato. Ma le misurazioni ESG assumono un ruolo sempre più rilevante anche per le scelte degli investitori nei mercati finanziari, dei finanziatori pubblici o privati nella concessione di credito, degli stessi consumatori, sempre più sono attenti a scegliere prodotti e marchi sostenibili (Amel-Zadeh e Serafeim, 2018). La crescente rilevanza della rilevazione e misurazione ESG sta pertanto orientando i processi di innovazione dei sistemi di reporting interni alle imprese, ma parallelamente si assiste alla diffusione di metodologie di assessment ESG da parte di organismi indipendenti di social rating, istituti finanziari, compagnie assicurative, organismi di regolazione e certificazione. Le diverse metodologie si differenziano per le modalità di acquisizione delle informazioni, per i meccanismi di calcolo e perequazione, ma anche per le tematiche specifiche su cui si concentra la misurazione delle diverse dimensioni ESG. Senza alcuna presunzione di esaustività, dato il carattere sintetico di questo contributo, proviamo ad analizzare alcuni aspetti delicati e problematici che caratterizzano gli approcci metodologici prevalenti, con un riferimento prioritario ad alcune metriche di ESG scoring (MSCI, Thomson Refinitiv, Dow Jones Sustainability Index).

L’analisi dei rating ESG attribuiti dalle principali agenzie operanti sul mercato costituisce un utile riferimento per comprendere non solo i meccanismi alla base di assegnazione del punteggio di sostenibilità, ma anche il grado di dettaglio delle informazioni necessarie ad elaborare misurazioni ESG. L’attribuzione di uno score ambientale, sociale e di governance richiede, anzitutto, una disclosure di informazioni non finanziarie, che le imprese a più elevata capitalizzazione sono tenute a rilasciare al mercato. Le principali metodologie di rating presentano senz’altro numerosi punti di connessione nell’evidenziazione delle tematiche rilevanti, ma anche differenze e peculiarità nella costruzione degli indici e nella selezione e rilevazione dei dati oggetto di analisi. Aspetto comune a queste tecniche è l’individuazione di tematiche (key issue) per ciascuno dei pilastri ESG e la scelta di una serie di indicatori (key issue scores) per ciascuna tematica. MSCI individua dieci temi, per la E sono cambiamento climatico, inquinamento, capitale naturale, opportunità ambientali, per la S capitale umano, sicurezza dei prodotti, controversie con gli stakeholder, social opportunities, e per la G in corporate governance e corporate behavior.  Thomson Refinitiv invece le distingue in dieci categorie, per la E sono utilizzo delle risorse, emissioni, innovazione; la S viene distinta in dipendenti, diritti umani, comunità locali, responsabilità sul prodotto; la G, infine, si articola in gestione aziendale, azionisti, strategia CSR. 

I temi generalmente assumono un peso e rilevanza diversa a seconda del settore, per cui si procede con fattori di ponderazione industry-based sulla base di classificazioni internazionali (Global Industry Classification Standard). La strategia di reperimento dei dati in alcuni casi si basa essenzialmente su informazioni rilevabili pubblicamente sulle aziende riguardo a politiche ESG, programmi di sviluppo e risultati raggiunti, informazioni sugli amministratori e informativa societaria o database. Principali fonti dei dati sono i report annuali, i siti internet delle imprese, organi di stampa e media e, soprattutto, la rendicontazione in materia di responsabilità sociale d’impresa.  In altri casi, invece, la rilevazione avviene anche in modo diretto tramite questionari compilati dalle imprese che vogliono sottoporsi al rating. Nel caso del Dow Jones Sustainability Index elaborato da RobecoSAM, le imprese valutate, infatti, sono chiamate a compilare un questionario, che rappresenta il cosiddetto Corporate Sustainability Assessment (CSA), allegando i documenti necessari per la verifica dell’attendibilità delle risposte date. Questo metodo permette sicuramente una più profonda comprensione dell’attività e dei valori dell’impresa valutata. I questionari sono differenziati a seconda del settore di afferenza tenendo conto dell’impatto che i diversi fattori ESG possono avere sulla performance finanziaria (matrice di materialità finanziaria). Tale matrice permette agli analisti di capire quali sono i fattori di sostenibilità che hanno un maggiore impatto sul business della compagnia valutata e che quindi sono più rilevanti da un punto di vista finanziario.  L’approccio valutativo avviene combinando metriche che, in alcuni casi, cercano di misurare l’esposizione dell’azienda alle criticità ritenute rilevanti per il settore di riferimento, con metriche di gestione, che cercano di valutare come l’azienda in analisi gestisca tali criticità. Con riferimento all’assegnazione dei punteggi in base all'appartenenza a un certo settore, bisogna rilevare come tutte le agenzie analizzate ponderino i fattori ESG in base al contesto nel quale le imprese operano.

È evidente, dunque, che gli aspetti contingenti relativi al contesto di riferimento rappresentano un discrimine rilevante nella valutazione complessiva della performance di sostenibilità. Altra criticità, come detto, è la scelta delle fonti informative. La soluzione di combinare fonti esterne e comunicazioni pubbliche, con informazioni fornite direttamente dall’azienda che si sottopone ad analisi e valutazione, è certamente la soluzione da preferire. Il rischio è, tuttavia, che quando si dia grande peso nell’analisi a informazioni fornite volontariamente e di cui non ci sia un opportuno monitoraggio e riscontro, la misurazione sia poco attendibile. Il nostro timore principale, tuttavia, è che l’esigenza di misurazione e comparazione determinata soprattutto dalla finalità di supportare il mercato finanziario nelle scelte di investimento e di portafoglio - che è prevalente in metodologie così complesse sviluppate dalle agenzie di rating per grandi corporation– riduca il livello di profondità e di analisi delle performance di sostenibilità dell’impresa in relazione al contesto in cui opera e degli stakeholder con cui interagisce. Le tematiche rilevanti delle tre dimensioni ESG vengono determinate in partenza da parte dell’analista e al massimo ponderate per i settori di riferimento. Il principio di materialità, che è fondamentale per l’accountability, richiederebbe un coinvolgimento degli stakeholder in fase di determinazione delle tematiche rilevanti. In quanti casi queste metodologie così raffinate rispettano questo principio di engagement degli stakeholder? Inoltre, l’esigenza di comparare attraverso misure generalizzabili (score) identità diverse, pure appartenenti agli stessi settori, ma con proprie e differenziate mappature degli stakeholder salienti non rischia di appiattire e forse anche sminuire la profondità dell’analisi?

Queste problematiche emergono con ancora più forza quando si cerca di applicare le tecniche di scoring – o almeno riprenderne alcuni degli aspetti di metodo – a imprese di piccola dimensione. Le ben note specificità delle PMI influiscono fortemente sull’impegno e sulle differenti modalità di sviluppo e implementazione di politiche e azioni di impatto socio-ambientale, dal momento che in tali contesti esse sono molto spesso implicite e non codificate, con una logica difficoltà di misurazione del fenomeno stesso. Difatti, le PMI sono parte integrante dell’ecosistema in cui operano e nell’ambito di questo sviluppano costantemente relazioni informali che si fondano sulla componente reputazionale, elemento che tuttavia le spinge ancor di più ad agire intrinsecamente secondo onestà, integrità e trasparenza.

Alla luce di tali considerazioni, i tradizionali sistemi di valutazione della performance sociale, nella forma di rating o rapporti integrati di natura tipicamente quantitativa, non possono essere calati in modo automatico per le start-up e PMI, essendo realtà ben più complesse e molto spesso sfuggenti a logiche generaliste. La valutazione della performance di sostenibilità e dei relativi impatti da essa generati richiedono, anzitutto, una disclosure di informazioni non finanziarie e un pool di competenze tecnico-operative spesso non disponibili nei contesti delle PMI. I consolidati metodi di analisi e valutazione delle performance di sostenibilità basati su variabili e dati di natura puramente quantitativa (indicatori economico finanziari, bilanci, certificazioni, etc.) devono essere arricchiti tenendo conto di informazioni latenti di tipo prospettico e qualitativo (propensione a rispondere proattivamente alle istanze degli stakeholder, stanziamento di investimenti ad impatto, emersione di ecosistemi locali, etc.), in grado di offrire possibili rappresentazioni circa la propensione e la capacità di un’impresa di produrre esternalità positive per il territorio. L’obiettivo a cui tendere, dunque, dovrebbe mirare a definire una misurazione (rating) ESG differenziata e dinamica, ovvero capace di attribuire la giusta priorità e rilevanza a quei fattori territoriali urgenti di una risposta concreta da parte degli attori locali. Lo sviluppo di un nuovo modello di misurazione calibrato sulle specificità locali consentirebbe di godere di una misura di impatto differenziata e contingente piuttosto che astratta o rispondente a logiche generaliste, permettendo altresì di declinare le politiche di sviluppo sul territorio con un criterio scientificamente validato e socialmente più allineato alle istanze locali degli stakeholder. I metodi di analisi e valutazione vanno pertanto rimodellati e ricalibrati con un approccio dinamico su una dimensione più spiccatamente locale e contingente, andando ad integrare e valutare variabili e dati di natura statica (es. fattori sociodemografici, ) con altre misure latenti di tipo prospettico e qualitativo  (es. propensione a rispondere proattivamente alle istanze locali, stanziamento di investimenti ad impatto, emersione del sommerso, etc.), capaci di intercettare e far emergere i bisogni latenti degli stakeholder.

In conclusione, bisogna valutare attentamente quale sia l’esigenza prioritaria. E’ preferibile puntare ad una standardizzazione del metodo per favorire la confrontabilità oppure differenziarlo per evidenziare le specificità e garantire una maggiore profondità dell’analisi? C’è la tendenza frenetica a cercare stellette, semafori o numeretti per fornire un metodo sintetico di valutazione e rappresentazione della sostenibilità. Forse la soluzione sta nel mezzo. Senza demonizzare le tante tecniche di assessment, che oggi si confrontano sul mercato, riteniamo che, oltre ad una necessaria differenziazione e contestualizzazione del metodo, sia soprattutto essenziale legare a queste misurazioni un’attività di assistenza alle imprese nel loro percorso verso la sostenibilità e l’adozione di strumenti efficaci di auditing e rendicontazione.  Nel caso delle PMI ciò è ancora più urgente.    

 

Mauro Sciarelli, Professore Ordinario di Economia e gestione delle imprese presso l’Università di Napoli Federico II, cofounder di Methrica srl, insegna Governo ed etica d’impresa e coordina il Laboratorio didattico LIFE (Laboratorio di Imprenditorialità e finanza etica). Coautore del volume “Il Governo etico dell’impresa” Wolters Kluwer, 2018.

 

Riferimenti bibliografici

  • Amel-Zadeh, A., & Serafeim, G. (2018). Why and how investors use ESG information: Evidence from a global survey. Financial Analysts Journal74(3), 87-103.
  • Carroll, A. B. (1991). The pyramid of corporate social responsibility: Toward the moral management of organizational stakeholders. Business horizons34(4), 39-48.
  • Friede, G., Busch, T., & Bassen, A. (2015). ESG and financial performance: aggregated evidence from more than 2000 empirical studies. Journal of sustainable finance & investment5(4), 210-233.
  • Landi, G., & Sciarelli, M. (2018). Towards a more ethical market: the impact of ESG rating on corporate financial performance. Social Responsibility Journal.
  • Sassen, R., Hinze, A. K., & Hardeck, I. (2016). Impact of ESG factors on firm risk in Europe. Journal of business economics86(8), 867-904.
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