Sessanta sfumature di cioccolato
Quello al latte stimola maggiore compulsività nei ragazzi, rispetto a quello fondente. Può bastare tenere un alimento in bocca per un minuto per capire se ci renda dipendenti o meno
Negli ultimi mesi ho fatto un piccolo esperimento con i ragazzi, liceali e giovani universitari, a cui faccio lezione: l’assaggio di un quadratino di cioccolato al latte industriale e, a distanza di cinque minuti, di un quadratino di cioccolato fondente di buona qualità. Unica indicazione: masticare e tenere in bocca il pezzettino di cioccolato, senza deglutirlo, per sessanta secondi (il tempo lo tenevo io con il cronometro) e segnare su un foglio, su una scala di piacevolezza da 0 a 100, la loro sensazione. Il valore di 100 equivaleva a «la cosa più buona mai assaggiata nella mia vita», mentre 0 era «la cosa peggiore mai assaggiata nella mia vita».
Risultato: il cioccolato industriale parte benissimo, intenso ed avvolgente come l’abbraccio della mamma. Ma, dopo sessanta secondi, risulta meno buono, per molti ragazzi quasi stucchevole e nauseabondo. Il cioccolato fondente parte maluccio, penalizzato dalla minor sapidità e dalla nota di amaro ma, dopo un minuto, il valore di piacevolezza sale, lasciando una bocca profumata ed una sensazione di maggior sazietà.
Quasi tutti i ragazzi, alla fine, mi hanno detto «quello al latte avrei continuato a mangiarlo, così ad ogni assaggio rinnovo il sapore buono iniziale, senza arrivare mai al gusto cattivo finale; quello fondente mi sarei fermato prima, la bocca era già a posto così». Tradotto in termini clinici: il primo favorisce di più l’alimentazione compulsiva, il secondo molto meno.
Provate con qualsiasi alimento «che, se inizio a mangiarlo, mi sembra di non riuscire a fermarmi»: può bastare un boccone da sessanta secondi per smascherarlo.