Craving, quella voglia matta di cibo
Anche una breve passeggiata è utile per combattere gli attacchi di fame senza controllo
Ieri Francesco, una persona obesa che curo per disturbo da binge eating, mi raccontava, sconsolato, «ieri sera ho avuto un craving». Di solito non amo i termini stranieri per raccontare come ci si sente. L’italiano è una delle lingue più belle e più ricche di sfumature del mondo e, soprattutto, le parole straniere possono rendere più difficile percepire da vicino come ci si sente.
Vale però la pena fare una piccola eccezione per il termine craving che, in italiano, ha meno immediatezza. I dizionari ci suggeriscono «desiderio intenso», «brama», «voglia matta». Non solo di cibo, ma di varie altre componenti della nostra vita. Possiamo avere craving per un ansiolitico, per una droga o una sigaretta, o per andare a giocare d’azzardo alle macchinette. Il concetto di craving implica pure il forte, fortissimo desiderio di cibo, così forte da essere percepito come irresistibile, come «un momento in cui perdo il controllo di me stesso». Il craving alimentare è tipico dei disturbi alimentari (soprattutto bulimia e binge eating), ma è anche uno dei motivi principali per cui non riusciamo a mantenere una dieta, un giusto peso o uno stile alimentare salutare. Cosa possiamo fare per fronteggiare il craving alimentare? Due cose: innanzitutto conoscerlo.
Il craving nasce da noi. Siamo più vulnerabili in tutte le situazioni di dolore emotivo, tristezza, rabbia, paura, stress e qualsiasi combinazione di emozioni negative. Ma nasce anche da un certo tipo di alimenti che, non a caso, vengono definiti «droganti»: tutti gli alimenti industriali raffinati, ricchissimi di sale, zucchero e grasso, sono stati scientificamente progettati per indurre craving alimentare. Quindi siamo destinati a diventare schiavi dei cibi «droganti»? Fortunatamente no. Il craving è un desiderio urgente e intenso, che sembra non abbandonarci mai. Ma che, in realtà, non dura per sempre: qualche minuto per i craving più leggeri, un paio d’ore per quelli più intensi. In pratica, il nostro cervello cerca di ingannarci con un messaggio del tipo «questa cosa è assolutamente vitale, non puoi farne a meno, è come l’ossigeno che respiri». Ma, se riusciamo a prendere tempo, il craving comincia piano piano ad allentarsi.
Adesso che conosciamo un po’ come funziona il craving, abbiamo in mano qualche soluzione, che scopriremo insieme con due piccoli esercizi di autoconsapevolezza. Primo esercizio: riconosciamo i nostri limiti. Se l’onda lunga dell’abbuffata è già sul punto di trascinarci a terra, lasciamola andare e prendiamone atto, senza giudicarci o colpevolizzarci, ed usiamola come stimolo per riconoscerla in anticipo, quando l’onda si sta ancora formando, la prossima volta. Secondo esercizio: prendiamo tempo, anche solo qualche minuto, e vediamo cosa succede. Si tratta di una fame in generale, che ci manda segnali fisici dalla pancia e che non ci fa desiderare una specifica cosa? Cominciamo a bere, con calma, a sorsi lenti, un bicchiere d’acqua (a volte la disidratazione si maschera da fame). Se il craving continua ad assediarci, prendiamo ancora tempo: potrebbe essere fame naturale, per cui, per esempio, possiamo anticipare l’orario della cena. Si tratta di una fame con desideri o pensieri intensi e specifici, soprattutto per certi alimenti droganti? Non riusciamo a toglierci dalla mente la croccantezza delle patatine di quel fast food, o la dolcezza di quella merendina che si scioglie in bocca prima ancora di averla addentata?
Questo è il vero craving, una brutta bestia da tenere a bada, che possiamo affrontare a viso aperto: cominciamo a uscire di casa e fare cinquecento passi, contandoli uno a uno, per allontanarci da casa. E altri cinquecento passi, sempre contandoli uno a uno, per ritornare a casa. Un po’ di fatica muscolare, insieme ad un po’ d’aria sul viso, ci aiuteranno ad avere il polso della situazione. Ma non sempre è sufficiente: se non riuscissimo a bloccarlo, proviamo a prevenire il craving, con piccole modifiche nel nostro stile di vita, tutti i giorni.
Ecco un vademecum di piccole abitudini anti-craving:
- Nutriamoci di luce: a latitudini più polari ed in stagioni più buie e fredde, il craving tende ad aumentare. Il cosiddetto Disturbo Affettivo Stagionale (in inglese Seasonal Affective Disorder, SAD), è caratterizzato da stanchezza, umore triste ed intenso desiderio di cibo, soprattutto di carboidrati raffinati. Come si cura il SAD? Con la terapia della luce: una mezzoretta al sole di mattina se abitiamo a Napoli, una mezzoretta di lampada a luce bianca (non abbronzante!) sul viso se abitiamo a Oslo (o anche a Milano).
- Nutriamoci di buio: se dormiamo poco, si alzano gli ormoni dello stress e, soprattutto, tendiamo ad essere più impulsivi. Con più stress e più impulsività, il craving sarà quasi sicuro.
- Mangiamo piano il nostro cibo. Se mastichiamo a lungo ciò che mangiamo, riusciremo a scoprire più facilmente la fregatura che si nasconde dietro il cibo spazzatura: l’apparente meraviglia appena messo in bocca, che diventa sottile disgusto, tipo bocca cattiva, se lo mangiamo lentamente.
- Scegliamo le cose giuste da mangiare: pochi alimenti industriali raffinati, piatti unici con un buon equilibrio tra carboidrati proteine e grassi e, soprattutto, alimenti ricchi di fibre e con un basso indice glicemico (ad esempio un piatto di riso integrale con i legumi, che viene assorbito lentamente e che ci mantiene sazi per lungo tempo).
- Ultimo, ma più importante di tutti: nutriamoci di relazioni interpersonali empatiche. Sentirci utili e vicini agli altri abbassa i livelli di stress, quindi il cortisolo, quindi tutta la cascata ormonale che ci rende più propensi ad ingrassare e più fragili da un punto di vista immunitario.
Un contatto empatico, un abbraccio, un gesto di gratitudine, sono tra le poche cose che, diversamente dal cibo o dal denaro, sfuggono alle leggi del mercato: non costano nulla, arricchiscono chi le riceve e soprattutto chi le dona. Adesso scusate ma vi devo salutare, mi è venuta fame.