Migranti: non si può girare la faccia
«Il problema dei profughi farà parte del futuro dell’Unione Europea, che lo si voglia o no». L'ultimo post di Umberto Veronesi
Pubblichiamo l'ultimo post che il professor Veronesi ci ha lasciato, in vista della Conferenza mondiale di Science for Peace del 18 novembre. Con questa pagina si chiude la storia di Parliamone, per capire, il blog che per cinque anni ha raccolto i pensieri e le riflessioni di Umberto Veronesi. Tutti i 200 post resteranno naturalmente accessibili, patrimonio di tutti.
Ricordate? Nel 2012 l’Unione Europea ebbe il premio Nobel per la pace. La motivazione diceva: «Da oltre sessant’anni contribuisce a promuovere pace, riconciliazione, democrazia e diritti umani in Europa». Sono passati solo quattro anni e i diritti umani si sono trasformati nell’infernale accampamento di Calais da cui si stanno cacciando i profughi con la forza, nel muro che si sta costruendo in Ungheria, nelle frontiere da cui non si passa più, nei «respingimenti» in mare, che riconsegnano i disperati alla morte da cui fuggivano. Non possiamo nasconderci che l’Europa è profondamente cambiata in peggio, e che cambierà ancora, soprattutto se farà breccia tra la gente il «sacro» egoismo evocato dai politici più retrivi.
E’ proprio così’? Non possiamo farci niente? Io ho ancora fede nei valori fondanti dell’Europa, e penso che il cambiamento costituito dalle migrazioni che si rovesciano sul territorio europeo (e che dureranno decenni, secondo alcune previsioni) possa ancora essere gestito. Di questo si parlerà nell’ottava edizione di Science for Peace, che si svolgerà a Milano il 18 novembre all’Università Bocconi. Il tema della conferenza si propone senza giri di parole: «Migrazioni e futuro dell’Europa» e ha il merito di mettere subito in chiaro che il problema dei profughi farà parte del futuro dell’Unione Europea, che lo si voglia o no.
Per ora l’Europa ha dato una risposta debole e frammentata, e in molti casi ha girato la faccia dall’altra parte. L’Italia, che è una generosa eccezione all’indifferenza, sta facendo con grandi difficoltà la sua parte, ma è urgente istituire un organismo decisionale e operativo, comune a tutti i Paesi della Ue. Per disegnare strategie di risposta possibili è necessario uno straordinario sforzo politico, culturale e scientifico. Mentre si accendono piccole risse tra i governi sul tema delle «quote» dei migranti da accogliere, occorre recuperare uno sguardo d’insieme e arrivare a una concertazione seria sulle misure da prendere.
Intanto, cerchiamo di recuperare anche un po’ di senso comune. E’ vero che in Europa stanno arrivando migliaia e migliaia di profughi, ma sommando questi numeri a quelli a quelli degli stranieri già residenti (e perfettamente inseriti) si arriva a una percentuale davvero modesta, che può essere spacciata per «invasione» solo se si vuol rischiare il ridicolo. Le polemiche non servono, ora è il momento di fare. La cosa più urgente è togliere alla guerra i mezzi per proseguire. Le nazioni che producono armi devono cessare la vendita ai contendenti. Se nel 1968 si poté arrivare a firmare il trattato di non-proliferazione nucleare (con tutti gli interessi che c’erano dietro), si potrà bene arrivare a una comune decisione europea di vietare all’industria di alimentare le guerre in atto.
Ho voluto fortemente Science for Peace, e non mi considero un utopista. Come diceva Benjamin Franklin, «Non c’è mai stata una buona guerra o una cattiva pace», e il modo migliore di avere la pace è risalire alle cause delle guerre, compiendo ogni sforzo per eliminarle. Non dobbiamo più credere che per avere la pace bisogna preparare la guerra, e dobbiamo indignarci quando s’inventano per i cacciabombardieri F35 slogan come «Se ami la pace, arma la pace». Tacciano finalmente le armi, e parli la ragione. E’ stato possibile uscire da conflitti immani come le due recenti guerre mondiali, deve essere possibile risolvere le guerre in corso in Medioriente.
Intanto, come ha chiesto già da un anno la povera e buona gente di Lampedusa, si apprestino «corridoi umanitari» per la salvezza dei profughi. La loro condizione è - se possibile - peggiorata da quando l’Europa si è scoperta la sindrome della fortezza assediata. Nel disperato intento di salvarsi, ormai i profughi scelgono le rotte di mare e le strade di terra più pericolose e insicure. E per ogni varco che l’Europa ha chiuso, si moltiplicano le morti di bambini, di uomini e di donne. E non si contano più gli stupri, gli atti di crudeltà, la prostituzione in cambio di un po’ di pane e della promessa di poter continuare il viaggio.
Umberto Veronesi