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Costrette a mangiare, con la forza

Davanti a una persona anoressica che rifiuta di mangiare, occorre sempre mantenere aperto il dialogo. Se il rifiuto continua, spieghiamo che l'unico intento è mantenerla in vita attraverso il nutrimento

Costrette a mangiare, con la forza

Ho letto un emozionante articolo sul sito del New York Times di qualche giorno fa: Anne Skomorowsky, una psichiatra della Columbia University di New York, ricorda il travaglio e le emozioni nel trovarsi, da giovane dottoressa, davanti ad una persona gravemente anoressica (di peso inferiore a trenta chili) che rifiutava categoricamente di mangiare. Diversamente dall'Italia, dove il Trattamento Sanitario Obbligatorio segue un iter più articolato e complesso, negli Stati Uniti la procedura è decisa e pragmatica. «Se la paziente in trattamento per grave anoressia si rifiuta di mangiare, cinque guardie la immobilizzano: una tiene la testa e le altre i quattro arti, quindi il medico infila il sondino nasogastrico - un sottile tubicino di plastica che dal naso scende nello stomaco -, mentre la paziente è immobilizzata».

La dottoressa, frenata dal rifiuto di poter torturare qualcuno e, soprattutto, dalla sua intima e personale fobia del vomito (anche gli psichiatri possono avere fobie), decide di prendersi il tempo di parlare con la paziente e spiegarle cosa sarebbe successo se avesse continuato a rifiutare il cibo. Dopo qualche minuto, la paziente decide di bere l'integratore liquido davanti alla dottoressa. Quali emozioni erano sul campo? Da un lato della scrivania la fobia del vomito della dottoressa, dall'altro lato la sensazione di totale impotenza della paziente. In questo caso l'aver condiviso un'emozione, all'interno di una comunicazione schietta e leale, ha permesso di aiutare la paziente senza dover ricorrere alla forza.

Quindi? Davanti ad una paziente anoressica che rifiuta categoricamente di nutrirsi, cerchiamo sempre e comunque di mantenere aperta la comunicazione: in quel momento la sfida verso di noi è il prolungamento di una sfida onnipotente verso se stessa, quindi mai abbandonarla. Se il rifiuto continua, mai minacciare: come ha fatto la dottoressa del racconto, raccontiamo con chiarezza ma senza esagerazioni che, in un modo o in un altro, la si aiuterà comunque a restare in vita attraverso del nutrimento. Questo racconto spesso aiuta a sbloccare la situazione ed a far scegliere alla paziente la situazione "meno peggio".

Restano rari casi in cui il rifiuto resta totale e inattaccabile. In simili situazioni, va prima di tutto posta la massima attenzione al rispetto della dignità del paziente. Fanno venire i brividi le scene di un vecchio documentario su un manicomio degli Stati Uniti in cui un paziente, bloccato dalle guardie, viene nutrito a forza con un grosso tubo nel naso e il medico - se di medico si può ancora parlare - butta distrattamente la cenere della sua sigaretta nell'imbuto da cui scendono i nutrienti. 

In Italia il Trattamento Sanitario Obbligatorio è un'arma un po' spuntata nella cura delle pazienti anoressiche, ma è comunque meglio di niente: sposta in avanti di qualche settimana il problema della paziente, ma quelle settimane, a volte, le consentono di rimettere in discussione i suoi rifiuti e le sue convinzioni. A proposito di emozioni: mi resta viva, ancora oggi dopo anni, la frase di sfida di una paziente: «Mi potete picchiare, mi potete stuprare, ma non mi potete obbligare a mangiare». Alla fine ha ripreso a mangiare, scegliendo di farlo.

Stefano Erzegovesi
@erzegos 



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