Il glifosate è una questione complessa
Il 25 ottobre l'Unione Europea al voto per il rinnovo dell'autorizzazione all'uso del più diffuso diserbante
Il 25 ottobre l’Europa dovrà decidere se rinnovare l’autorizzazione all’utilizzo del glifosate: forse il diserbante più diffuso anche in Europa. Sembrerebbe una questione tecnica minore, ma non lo è. La vicenda glifosate ha vari aspetti in comune con quelle di vaccini, olio di palma, grani antichi e glutine, Ogm, origine dei frumenti duri per fare la pasta e così via. Sono tutti casi in cui esiste un baratro tra quello che realmente succede e quello che viene spiegato al grande pubblico. Tra quelli che sono i rischi reali, misurati e documentati, rispetto ai rischi evocati anche a fini pubblicitari.
Nel caso del glifosate l’idea è che, se vietiamo l’uso di questo erbicida, il cibo che ci arriva sulla tavola sarà ripulito da un pesticida, la nostra salute meglio protetta da una sostanza dichiarata come probabilmente cancerogena dall’Agenzia Internazionale sulla Ricerca sul Cancro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Iarc), la natura e la biodiversità meno danneggiate, ci proteggeremo meglio dall’arrivo di grani esteri ed infine ridurremmo i commerci di alcune odiate multinazionali. Non male fare tutto questo con un semplice no detto da Bruxelles. Soprattutto il non fare (o non far fare) è emotivamente più premiante e più facilmente comunicabile. Molto più arduo è spiegare altri dati del problema.
Il glifosate è il diserbante più usato al mondo, molto usato in Europa e anche in Italia, ma in Europa non si può coltivare nessuna pianta Ogm resistente a questo erbicida. Quindi si usa glifosate su piante normali. Da noi lo usano soprattutto per tenere pulite strade, autostrade e ferrovie: non tenerle diserbate è potenzialmente molto pericoloso. Tantissimi agricoltori lo usano per rimuovere piante infestanti dai loro campi perché è efficiente (l’erbaccia muore assorbendo il glifosate dalle foglie, non agisce sui semi) e poco costoso: soltanto nove euro per diserbare un ettaro. Questo perchè il glifosate non è più sotto brevetto dal 2001, difatti sono registrati presso il Ministero della Salute circa 350 prodotti contenenti glifosate e autorizzati negli anni all’impiego in Italia. Molte delle decine di aziende che li vendono sono italiane. Gli agricoltori senza glifosate sarebbero costretti a usare altri erbicidi, molto più costosi, molto meno efficaci e che quindi costringono a ripetuti trattamenti, ma soprattutto che non cambiano i profili tossicologici. Insomma sarebbe messo fuori commercio un farmaco generico per sostituirlo con uno di marca.
Non a caso il primo produttore mondiale di glifosate è la Cina e non la vituperata Monsanto. Certo, un’alternativa «ecologica» esiste: solo che non è logica. Sarebbe quella di tornare agli anni ’50, alle mondine, e diserbare a mano i campi. Stiamo assistendo in questi giorni alle tragedie del caporalato con punte di riduzione in schiavitù nei campi del meridione: ci auguriamo che questi «diserbi antichi» non attraggano le pulsioni degli intellettuali che dai loro divani o dalle loro amache elaborano strategie agricole. Ma c’è un’altra ragione che dovrebbe mettere in allarme il Governo e in particolare il Ministero della Sanità e dell’Agricoltura. Lo Iarc aveva sì elevato il profilo di rischio del glifosate, ma forse forzando o distorcendo i dati. Per prima cosa questa posizione dello Iarc è stata smentita prima dall’Agenzia per la Sicurezza Alimentare Europea (Efsa) in due distinti documenti, dichiarandolo probabilmente non cancerogeno e non attivo come interferente endocrino. Poi la stessa posizione è stata presa da una seconda Agenzia Europea, quella per la Chimica (Echa). Ma soprattutto la Fao e l’Organizzazione Mondiale della Sanità hanno redatto un documento per smentire la cancerogenicità del glifosate, contraddicendo lo Iarc: ossia un’agenzia della stessa Oms. Inoltre si sono accumulati tre diversi episodi in cui si è saputo, nel primo caso, di dati che scagionavano il glifosate non comunicati allo Iarc da un suo consulente. Poi, di un potenziale conflitto d’interesse di un membro dello Iarc che ha firmato contratti per centosessantamila euro con organizzazioni anti-glifosate due settimane dopo la valutazione dello Iarc, con ipotesi quindi di insider trading. Infine di alterazioni degli stessi verbali dello Iarc, allo stato senza paternità.
In definitiva una vicenda troppo complessa e articolata che suggerirebbe una proroga breve dell’autorizzazione in attesa che si chiariscano vari episodi. Non ultimo il fatto che nei piani di sviluppo regionali (Psr) di tutte le regioni italiane si danno incentivi per centinaia di milioni di euro per l’Agricoltura conservativa o Agricoltura blu, ossia a ridotto impatto sui suoli e ridotte emissioni di gas serra. Il glifosate è molto spesso il presidio d’elezione e non è scontato sia possibile sostituirlo. Anche solo per attendere relazioni tecniche accurate dai vari uffici regionali che chiariscano se la Misura 10 di tutti i Psr è compatibile usando altri diserbanti, quali, a che dosaggi, con che costi e per quante reiterate somministrazioni. Meglio prendersi una pausa di approfondimento per non trovarsi a fare scelte che potrebbero risultare imbarazzanti.
Finalmente la questione glifosate presentata per quello che è: un attacco ad un sistema produttivo. La società ha perso contatto con l'agricoltura ed ora è spaventata dai suoi metodi. Eppure abbiamo il cibo più sicuro al mondo, l'ambente più tutelato, un'aspettativa di vita fra le più alte... di cosa esattamente hanno paura i nostri concittadini? Grazie a Defez per la chiarezza