Vino e salute, un binomio impossibile
La disinformazione sulle proprietà del vino punta ai giovanissimi. I consigli per non cadere nella trappola
Quando si leggono notizie relative al binomio «vino e salute», da medici e ricercatori dediti alla prevenzione ci rendiamo conto di quanto poco si faccia per far passare messaggi responsabili di salute pubblica in grado di contrastare le fake-news che pervadono la cultura e la società.
È un dato di fatto il rilievo di una sensibilità assente: quella della prevenzione basata su una comunicazione corretta, valida. A maggior ragione sull’alcol, nella settimana dedicata alla consapevolezza europea sui rischi alcol-correlati appena conclusasi, in cui abbiamo pubblicato una serie di appelli ai decisori politici (consultabili qui). Obbiettivo: chiedere di intervenire con maggiore incisività per diminuire il rischio legato a politiche ancora inefficaci per tutti gli obiettivi di salute sostenibile. E, in particolare, su due temi legati all’alcol: il rischio oncologico e il rapporto con la pandemia di Covid-19.
È deprimente leggere in alcuni contributi - che appaiono a margine di iniziative organizzate da una parte del mondo della produzione - un concentrato di argomenti già più volte smontati da una mole di evidenze scientifiche che cresce e che ha trovato la sua collocazione nelle linee guida Crea, sviluppate a margine di anni di revisioni e dibattiti da parte della comunità scientifica, delle istituzioni di tutela della salute e, più in generale, delle autorità competenti. Non si può, peraltro, non qualificare la disinformazione come un danno al diritto del consumatore a scelte informate e l'elemento concreto di rischio e pregiudizio alla salute da parte di tutti.
In numerosi contributi diffusi attraverso i social media, la vera trappola dell’«alfabetizzazione» degli utenti, si leggono tali e tante fake-news che pongono seri problemi anche alle giuste repliche, che tuttavia non possono mancare. Capita così di leggere che «mezzo litro di vino al giorno è protettivo del cuore», lì dove le stesse quantità incrementano del cinquanta per cento il rischio di ammalarsi di tumore al seno e dove le linee guida per una sana alimentazione pongono come tetto massimo per i maschi due bicchieri (250 millilitri di vino al giorno). Ovvero: la metà di quello inopportunamente indicato da competenze cardiologiche, come livello da non superare per non incrementare il rischio già insito in un consumo inferiore di oltre 220 malattie (tra cui 12 tipi di cancro).
Si legge di presunte «benefiche proprietà antiinfiammatorie insite nel consumo di moderate quantità», come tali implausibili rispetto alle quantità di sostanze bioattive nel bicchiere, in un periodo (come quello pandemico) in cui il vino e gli alcolici sono da evitare poiché in grado di pregiudicare il sistema immunitario e favorire le infezioni virali polmonari. Così come si legge di «polifenoli e del resveratrolo contenuti del vino come sostanze capaci di determinare un effetto di protezione sulla salute», lì dove è noto che sarebbero necessari almeno 240 litri di vino al giorno per raggiungere un qualunque desiderato effetto che è smentito nelle linee guida Crea con tutta l'evidenza di cui tutti dispongono e che viene ripresa anche sul sito della Federazione degli Ordini dei Medici Chirurghi Italiani.
Si legge di «giovani da avviare al consumo di vino, dopo i 17-18 anni», incuranti del danno che si determina nello sviluppo cerebrale e nella sua maturazione cognitiva in senso razionale che avviene a 25 anni (per saperne di più, clicca qui). Si legge inoltre di vino come «alimento liquido», lì dove i Livelli di Assunzione di Riferimento di Energia e Nutrienti (LARN) lo hanno escluso da anni come nutriente e definito «sostanza non nutriente d’interesse nutrizionale che, pur apportando energia (7 chilocalorie per grammo, ndr), non ha finalità funzionali o metaboliche specifiche» e ribadito la cancerogenicità (scopri come l'alcol aumenta il rischio di ammalarsi di cancro) che ne ha determinato l'esclusione da tutte le piramidi nutrizionali, compresa quella relativa alla dieta mediterranea. Questo in quanto «molecola potenzialmente tossica per l’organismo, per cui non esistono livelli di consumo sicuri per la salute».
Si legge di «polifenoli in grado di ridefinire il Dna», lì dove però rappresentano una parte su un milione rispetto all'alcol che danneggia irreversibilmente il Dna e ne impedisce la riparazione a partire dalle cellule staminali. Si sovverte l'informazione affermando che i polifenoli «proteggono le nostre cellule dalla disregolazione del nostro codice genetico, che va poi ad alterare la capacità di replicarsi delle nostre cellule», come se fosse possibile che in un bicchiere di vino possano concentrarsi quantità plausibili (sul piano biologico) per tale effetto. Quando è noto e documentato, peraltro, che non esistono in un bicchiere livelli di sostanze bioattive in quantità tali da poter giungere all'effetto millantato.
Si giunge a citare la depressione collegata a dipendenze e all’abuso di alcol e si parla della necessità di un progetto educativo forte per i giovani in cui il fumo sia sostituito dall’alcol. «Ma non da quello buono, che può mitigare ansia e depressione», attribuendo alla «socializzazione e alla condivisione di un buon bicchiere di vino» quello che eviterebbe di far «perdere» i nostri giovani. Con ciò, però, si ignora che i giovani hanno aggiunto al fumo anche la cannabis insieme all'alcol (tra cui il vino) con il quale molti si ubriacano in una ritualità che vede il consumo di tutte le bevande alcoliche. Specie quelle rese più economiche, anche durante il lockdown, con la crescita vertiginosa del wine-delivery e dell’e-commerce.
Si legge della necessità di una nuova dimensione in cui «proponiamo un prodotto che è il principio di un discorso progettuale che porta i giovani a mangiare, vivere e bere meglio», ignorando che l'obiettivo di salute per i giovani è rendere meno disponibile l'alcol e ritardarne il più possibile il consumo per evidenti ripercussioni nella vita futura. Questo perché, cominciando a bere alla loro età, una più prolungata esposizione diventa reale. E siccome l’Italia è già tra i Paesi più precoci al mondo in questo senso (il binge drinking caratterizza il 25 e il 7 per cento dei ragazzi e delle ragazze con meno di 24 anni e il 17 per cento di tutte le intossicazioni alcoliche riguarda minori con meno di 14 anni.
Come definire tale comunicazione? Utile al bene comune? A sostenere le persone in un momento di emergenza sanitaria e di salute, in cui il disagio da isolamento, da alterazione dei contesti di vita, di studio e di lavoro ha spinto i consumi e fatto crescere i disturbi da uso da alcol già presenti? Esistono numerosi livelli di tutela su cui una società civile dovrebbe contare e tra questi una comunicazione valida, oggettiva, distante da interessi che non siano quelli in conflitto con il benessere fisico e psichico delle persone, che non strumentalizzano le evidenze di cui si dispone.
Lavorare per il benessere non è diffondere - a maggiore nel pieno di una pandemia - fake-news su irrealistiche proprietà «igienizzanti» del cavo orale o della bocca del vino, costringendo le istituzioni a denunciare come false e nocive tali affermazioni. Né lo è spostare sui giovani un'attenzione e l'interesse economico che li vorrebbe consumatori nel mercato, piuttosto che riconoscerle come persone inesperte e immature nei comportamenti e target sensibile di cui tutelare salute e sicurezza dalla loro prima causa di morte: l'alcol.
Il vino si beve per piacere. Un piacere da controllare che è parte di quel problema che proprio i giovani non hanno capacità di governare, per la non ancora sviluppata prevalenza di quella parte del cervello, la corteccia prefrontale, che li rende (attorno ai 25 anni) adulti razionali e ne attenua l'impulsività propria dell'adolescente. Nessun adulto competente e responsabile proporrebbe mai di proporre «progetti educativi» inadeguati per l'età e soprattutto basandoli su una serie di pseudo-argomenti il cui rigore scientifico non è rispettato. Il vino è altro: è stile, eleganza, cultura millenaria. È mortificante che chi lo produca svilisca l'immagine di un intero settore, che ha sempre coltivato radici distintive diverse e che ha mantenuto un rapporto di correttezza e di rispetto per i consumatori.
Esistono modi migliori per fare impresa senza far pagare costi sanitari e sociali alla società. Disinformare non è un'opzione percorribile in una società che rispetti il valore dell'integrità, dell'onestà intellettuale, del rispetto. Sta a tutti far valere i propri diritti e saper prendere le distanze da chi vuol fare del marketing uno strumento d'inganno e di pregiudizio per la salute di tutti. Non esistono quantità sicure per la salute di qualunque tipo di bevanda alcolica. Sapere per non rischiare, fa la differenza. E in tempi di Covid-19, non bere è la scelta migliore.