Il vino è o il vino fa? Questioni di etichetta...
... e informazioni compatibili con salute e prevenzione
C'è fermento in questi giorni su una questione antica ma, a mio parere, da sempre mal posta e oggi sfuggita ad un rigoroso rispetto di ciò che le evidenze scientifiche e le norme indicano come approccio da seguire sulla tematica alcol e salute e nello specifico vino e salute.
Legittimi gli schieramenti a favore o contro una qualsiasi ipotesi di messaggio o, meglio, "health information" (così stabilisce la Risoluzione del 16 febbraio del Parlamento Europeo) da inserire obbligatoriamente in etichetta delle bevande alcoliche ma ... est modus in rebus.
Non è facile mediare situazioni come queste ma reputo che sia d'obbligo abbandonare la inesigibile strada del “bere vino fa bene alla salute” per un più condiviso approccio di salute sostenibile nella traccia delle linee guida nazionali CREA correnti, licenziate appena tre anni fa con l'approvazione del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali; considerato che le evidenze accumulate negli ultimi tre anni sull'impatto dell'alcol sulla salute hanno determinato revisioni più stringenti, come nei giorni scorsi in Canada, le linee guida attuali risultano allineate a quelle delle istituzioni di tutela internazionali, come quelle statunitensi e gran parte di quelle europee. Tutte le linee guida si guardano bene da decenni dal "raccomandare" limiti o quantità (e come si potrebbe con una sostanza cancerogena e tossica, non nutriente secondo i LARN) ma, rivolgendosi a chi comunque sceglie di bere, indicano correttamente come evitare i maggiori rischi legati a maggiori consumi e cosa sia compatibile con le esigenze di riduzione del consumo dannoso e rischioso, superando l'indifendibile narrazione trita e desueta di distinzione tra uso e abuso che già i report mondiali ed europei hanno escluso come scientificamente plausibile.
Il rischio nel semplice uso c'è e questo è riconosciuto in maniera indipendente ma consonante da tutti gli organismi di tutela della salute e di ricerca e prevenzione delle malattie, prime tra tutte il cancro, che sono concordi nel precisare che non esistono differenze tra le bevande alcoliche e che l'alcol è la causa del danno al DNA che è poi, semplificando, alla base dell'incrementato rischio di almeno sette tipi di cancro a partire dal consumo di piccole quantità.
Non è che il consumo del singolo bicchiere causi il cancro a tutti i consumatori ma l'evidenza e la precauzione impongono che tale rischio debba essere comunicato a tutela del consumatore così come correttamente e indicato al comma 16 della cornice legale fornita dalla Risoluzione del Parlamento Europeo del febbraio 2022 che è bene rileggere testualmente (qui il link al documento, in particolare i commi 15 e 16) per far capire a tutti quanto la polemica di questi giorni sia ampiamente evitabile perché contiene, a volerli leggere, i messaggi che è plausibile adottare in etichetta lì dove in coerenza con le finalità proposte si parla esclusivamente di consumo di alcol.
Proviamo a pensare in maniera costruttiva a ciò che tecnicamente potrebbe essere utile alla presentazione di una degna posizione italiana in Europa.
Ciò che è plausibile vedere inserito in etichetta, ai quali i consumatori sono già abituati, sono i pittogrammi già inseriti in etichetta, ad esempio, in autoregolamentazione dal settore della birra che ha privilegiato un marketing basato sul messaggio proud to be clear, fieri di essere trasparenti, adottando e applicando le indicazioni europee.
Derivare una descrizione testuale sintetica sul rischio alcol e gravidanza, alcol e guida, alcol e rispetto dell'età minima legale/minori non presenta grandi difficoltà anche considerato che per le etichette nazionali all'estero, per esempio in USA o in Canada, i nostri produttori già sono già più che lieti di esportare quantità sempre crescenti di bottiglie del nostro eccellente vino made in Italy, adeguandosi a quanto imposto dalle autorità competenti.
In alcune Nazioni vitivinicole mediterranee europee i produttori non sono così tranchant nei confronti del silenzio assenso della Commissione Europea che ha consentito all'Irlanda l'adozione in etichetta di due messaggi notificati e quindi da qualche giorno autorizzati sul rischio di patologie epatiche e sul legame diretto tra alcol e cancro; i testi hanno sempre menzionato "alcol", mai "vino", come peraltro nella Risoluzione del Parlamento Europeo che ha adottato, pur con qualche modifica, la scienza fornita dal Comitato BECA che aveva segnalato l'evidenza "non esistono quantità sicure di consumo di alcol per la salute", inserito nel comma 15 della Risoluzione UE e del richiamo al Codice Europeo per la Lotta al Cancro: "Se bevi modera i consumi. Per la prevenzione del cancro non bere è la scelta migliore" e che il 4 gennaio su Lancet l'OMS ha ribadito come pietra fondamentale della prevenzione.
La parola passa dalla scienza alla politica ma oggettivamente sarebbe indispensabile un più prudente cambio di passo, ostacolare adempimenti europei e la prevenzione del cancro attraverso la disinformazione "bere vino ci protegge" dubito possa avere blue-print in etichetta che in ogni caso deve contenere un messaggio anche coerente con le finalità dell'Europe's Beating Cancer Plan. E non è "tigna" talebana ma un ragionamento logico nell’ottica di responsabilità legale che potrebbe derivare da messaggi che non risultino coerenti con le Linee Guida e le strategie di comunicazione istituzionali dei dicasteri competenti ispirate alle strategie OMS e EU, in linea con direttive europee e risoluzioni specifiche che comunque impongono un adeguamento delle azioni governative.
In fin dei conti non si vede come si possa percorrere questa strada quando pochi anni fa, ad un'azienda vitivinicola che esponeva in etichetta "edizione leggera" la Corte Europea di Giustizia ha sentenziato che per le Direttive Europee "non possono essere vantate proprietà salutistiche dell'alcol", quindi "bere vino fa bene" o "bere vino ci protegge" avrebbe zero margini di approvazione.
È bene avere chiaro anche cosa viene richiesto come impegno nella prevenzione del rischio alcol in Italia, in Europa e nel Mondo.
Ovviamente appartengo ad un mondo, quello delle regole rigorose della comunità scientifica e non delle opinioni, in cui tacciare di proibizionismo le strategie di prevenzione mondiali ed europee dell'OMS sull'alcol facendole passare come un attacco al vino o al made in Italy equivale a mortificare il ruolo dell'evidenza scientifica ma anche quello necessariamente educativo delle famiglie e della comunità. Equivale a mortificare il ruolo, in Italia come altrove, delle istituzioni e delle decine di migliaia di professionisti della salute impegnati quotidianamente in prevenzione, diagnosi e cura, nell'evitare che degli oltre 30 milioni di consumatori di bevande alcoliche vi sia un ulteriore incremento degli 8 milioni e 600.000 consumatori a rischio (persone normali, consumatori moderati che eccedono le linee guida, non alcolisti), impegnati affinché non aumentino gli oltre 4 milioni e mezzo di persone che si ubriacano (binge-drinking), e si possano ridurre le 800.000 persone che ha già un danno d'organo, di cui solo il 7% è identificato da strutture o personale del SSN mentre gli altri, pur in necessità di un intervento e di un trattamento, non ricevono quanto atteso.
Ritengo, peraltro che tale lodevole impegno sia anche quello di autorità competenti e società scientifiche che garantiscono l'applicazione delle migliori pratiche della prevenzione specifica pur con limitate risorse ma sempre in coerenza con le indicazioni dell'esecutivo e delle istituzioni su un impegno che emerge, ad esempio, dalla Relazione annuale del Ministro della Salute al Parlamento ai sensi della Legge 125/2001 sulla prevenzione dell'alcoldipendenza. Valori e anche gap individuati dalla Conferenza Nazionale Alcol di febbraio del 2022 e del Libro Bianco sull'alcologia del Ministero della Salute: "Informare, educare, curare: verso un modello partecipativo ed integrato dell'alcologia italiana".
Informare, educare e curare fanno parte di un continuum integrato, l'uno sostiene l'altro partendo da un approccio universale e giungendo a quello ad alto rischio, prevedendo con competenza distinzioni di genere, età, contesti che non possono essere riassunti in banali generalizzazioni che sono irricevibili in funzione dell'impatto in costi sanitari e sociali che una vecchia stima dell'OMS pone a 22 miliardi l'anno per l'Italia.
Per tutto ciò non si può sminuire l'impatto di qualunque bevanda alcolica sulla popolazione, vino incluso, e mortificare il pur necessario dibattito in discussioni sui social tra opinioni incompetenti e competenti; dovrebbe essere logico, per chi può disporre, mirare con fermezza all'abbattimento della sterile polarizzazione tra fazioni e interessi, ovviamente spesso non completamente indipendenti, potendosi ricercare e trovare una sintesi e orientamenti compatibili con le esigenze di tutti.
Tra due anni i consumi pro-capite e dannosi dovranno scendere in omaggio all'impegno preso da tutte le Nazioni e i Governi per la strategia OMS di lotta contro le Non Communicable Diseases - NCDs, azione principe dell’Agenda 2030 della Nazioni Unite e degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile - Sustainable Development Goals - SDGs che, convergono nella riduzione del 10% del consumo rischioso e dannoso di alcol entro il 2025, in media circa mezzo litro di alcol puro: accadrà indipendentemente da qualunque intervento pro o contro il vino, d'attualità in questi giorni, per una tendenza oramai consolidata di scelte del consumatore, anche a rischio, che spende i suoi soldi come può, anche riducendo la spesa media alimentare in funzione del ridotto potere d'acquisto e dell'incremento esagerato dei costi da sostenere negli acquisti, necessariamente più oculati e mirati e che non contemplano gli alcolici come priorità rispetto ad altri prodotti alimentari e beni considerati più essenziali.
Tentare d'incrementare i consumi interni - in un mercato in cui le offerte di prodotti alternativi e meno costosi, anche dealcolati a basso tenore alcolico, si fanno strada - attraverso improbabili campagne dal contenuto percepibile come disinformativo su presunti vantaggi derivanti dal consumo moderato di vino che "previene" o che addirittura "giova alla salute" non conviene a nessuno. E anzi probabilmente nuoce all'immagine del vino, alla dimensione di eleganza, di stile, di cultura, oltre a esporre al concreto rischio di claim risarcitori da parte di quanti indotti a ritenere che bere moderatamente, come alcuni dicono e proclamano, non abbia rischi per la salute e ne dovessero invece derivare pregiudizio alla salute (per la disinformazione sul fumo e per i danni causati in termini di cancro sono stati pagati in USA risarcimenti milionari) anche tenuto conto della Sentenza della Corte Europea di Giustizia che ha sancito che non si possono vantare proprietà salutistiche dell'alcol, semplificando nessuno può dire "fa bene alla salute".
Non entro nel merito delle considerazioni tecniche sollevate sulla liceità autorizzativa di messaggi in etichetta ad un singolo Paese EU e di cui condivido persino le giuste riserve dell'effettivo rispetto di regole europee da parte della Commissione Europea che si è impegnata a produrre regole comuni entro il 2023 e anche per questa sfaccettatura ritengo che per la questione sulle etichette ci voglia ... etichetta, modus operandi, forma e sostanza.
Le informazioni per la salute previste dalle direttive comunitarie e risoluzioni del Parlamento Europeo possono tranquillamente mirare, e questa è la mia opinione e proposta, a informare chi sceglie legittimamente di usare alcolici nel merito della compatibilità del bere entro le linee guida per una sana nutrizione degli italiani specificando che superati i limiti stabiliti di 1 bicchiere per la donna e per gli ultra65enni, 2 per i maschi (livelli al di sotto dei quali il rischio non si può escludere), aumenta il rischio di problemi per la salute. I giovani non devono bere in rispetto alle norme nazionali che vietano vendita e somministrazione, quindi anche consumo per le linee guida, ai minori di 18 anni.
Tentativamente i criteri di compatibilità e sostenibilità degli obiettivi di salute potrebbero essere soddisfatti da un messaggio come: "Il consumo di alcol che rispetta i limiti moderati stabiliti dalla linee guida nutrizionali nazionali è compatibile con un minor rischio di possibili problemi di salute".
Di variazioni ce ne possono essere tante ma questa è la base su cui articolare i messaggi ritenuti più adeguati - se si pensa alla Risoluzione del Parlamento Europeo Europe's Beating Cancer Plan - includendo quello eventuale del "Per la prevenzione (oncologica) la scelta migliore è evitare il consumo".
Questa è informazione per la salute, è neutra, non demonizza, informa. Pone il consumare al centro delle sue scelte.
E si presta a rimanere stabile e invariata nel caso di modifiche delle Linee Guida Nutrizionali.
Chiunque volesse approfondire documenti, strategie ed evidenze scientifiche punti su informazioni istituzionali validate lasciando perdere i social, i protagonismi e i media che di confusione ne hanno fatta tanta, confusione di cui non si sente la necessità. La salute per tutti non è un concetto astratto, è pratica quotidiane e impegno da svolgere nell'ottica di sostenibilità sociale e sanitaria dei comportamenti di ciascuno.
E a proposito della domanda del titolo: il vino è, non fa. Per chi sceglie di berlo è stile, è gusto, è cultura e come tale non prevede eccessi che sono la tomba del piacere. Liberi di consumare o di non consumare con la maturità di chi è al centro delle proprie scelte e della propria salute.