Perché siamo un popolo di ignoranti
L'Italia è il paese europeo più arretrato nella ricerca scientifica. Per me, le ragioni sono essenzialmente tre
Come ha scritto Elena Cattaneo in una lettera aperta al Presidente Napolitano (che ripropongo qui), siamo il paese europeo più arretrato in campo di ricerca scientifica. La domanda è semplice: perché siamo messi così male e come ci siamo arrivati? Per me ci sono essenzialmente tre ragioni, in strettissima dipendenza l'una dall'altra.
Punto uno. Il taglio dei finanziamenti, continuo, costante. È la causa principale, la più evidente, la più semplice da tirare in ballo, la più devastante. La scienza costa, e costa parecchio. Qualcuno obietterà che siamo in tempo di crisi e quindi bisogna "tirare la cinghia e pensare al presente". Sbagliato: la crisi si risolve con la lungimiranza. Un Paese è ricco perché fa scienza, non fa scienza perché è ricco. Tagliare le borse di studio è una strada con un'unica direzione, che porta dritta all'emigrazione di 25enni neo-laureati, i quali andranno a cercare altrove il giusto riconoscimento e la giusta concorrenza per soddisfare gli anni che hanno passato sui libri. Impoverire i laboratori è un'altra strada a senso unico, che porta alla sparizione di gruppi di ricerca, alla impossibilità di pubblicare articoli (e pubblicare è, nella scienza, l'unica maniera per garantirsi una sopravvivenza) e arrivare a nuove scoperte, magari brevettabili e utilizzabili per costruire aziende biotech. Mettere i bastoni tra le ruote alle aziende biotech, uno dei tanti danni che farà il Decreto legge approvato a novembre, è una terza via senza uscita, che uccide letteralmente la concorrenza e desertifica il mercato, portando i pochi fondi all'estero. Lo scenario che risulta seguendo queste tre strade è apocalittico: i pochi laboratori che funzionano usano i pochi soldi che hanno per comprare materiale di laboratorio, reagenti, animali ecc, dall'estero e non in Italia, causando la sparizione delle poche aziende biotech, e sopravvivono navigando a vista pubblicando pochi articoli scritti dai pochi ricercatori che hanno scelto di restare o sono costretti a farlo. Tutta colpa dei fondi tagliati? Sì. Ma i fondi non si tagliano da soli, li tagliano i politici.
Punto due. La politica. Finché tra gli scienziati e i politici ci sarà meno dialogo che tra lupi e pecore, la situazione non si risolverà. Perché i politici italiani non investono di più in ricerca? Secondo me, per due ragioni: la mentalità anti-scientifica che regna in Italia, e il fatto che è diffusa la credenza che "la scienza non porta profitto". Fino a quando i politici vedranno un laboratorio come un buco nero che assorbe migliaia di euro per tirare fuori solo un articolo da pubblicare in inglese su qualche rivista che nessuno di loro legge o è interessato a fare, la situazione non cambierà. E qui veniamo alla grande, grandissima colpa degli scienziati. Noi, e mi includo nella categoria, siamo dei pessimi, pessimi, pessimi divulgatori. Non siamo mai stati capaci di spiegare cosa facciamo davvero, come funziona un laboratorio, perché facciamo determinate cose e non altre, come ragioniamo, dove vogliamo arrivare. E se lo facciamo, lo facciamo male. Posso immaginare che dover spiegare il sequenziamento genico non sia la cosa più semplice del mondo, ma non ci si è mai neanche provato, almeno non seriamente. Ci stupiamo, quindi, se la Brambilla pubblica un libro pieno di fandonie sull'"animalismo" senza avere la minima idea di cosa sia il vero animalismo? E cavalchi la disinformazione, in buona e in malafede, degli attivisti. Ci stupiamo se il Decreto legge passa senza una parola forte e contraria del Ministro Carrozza, una che la ricerca l'ha fatta in prima linea e il cui silenzio assoluto è la cosa peggiore che la comunità scientifica è costretta ad ascoltare? Ci stupiamo davvero se i politici sono così e fanno quello che fanno? Io no. Perché i politici non sanno e non vogliono sapere, e in questo sono, che piaccia o no, uguali alla gente che li ha votati. Ed è lì che, secondo me, ci sono i problemi più grossi.
Punto tre. Il popolo. Il popolo del 2013, figlio o fratello minore di quello che 30 anni fa decise di non mettere centrali nucleari "per preservare l'ambiente", ignorando, più o meno volutamente, che dietro le Alpi, Svizzera e Francia ne erano piene e, oggi, hanno anche un ambiente più pulito del nostro, quando si dice "oltre al danno, la beffa". E per carità, non sarei neanche completamente d'accordo sul nucleare in Italia, visto che non siamo capaci neanche di costruire ospedali a prova di terremoto nelle zone definite a rischio sismico.
Tornando al tema, dovremmo semplicemente tutti quanti smetterla con questa grande panzana del popolo italiano costituito da geniali scienziati. L'Italia non è mai stata un paese di geni e di scienza. Abbiamo avuto grandissimi artisti, siamo tradizionalmente ottimi designer e dotati di grandissima creatività, usata nei modi più disparati, dalla moda alla cucina all'architettura. Ma già 700 anni fa, Leonardo da Vinci doveva andare in Francia per far valere il suo talento ingegneristico. E dopo di lui, Fermi, la Montalcini, Dulbecco e praticamente tutti i nostri più grandi scienziati non hanno potuto fare praticamente nulla in patria. Oggi non è cambiato nulla, anzi le cose peggiorano.
Non ci vuole un genio a capire che ciò avviene perché la scienza non fa parte del nostro sistema culturale. Tutti sappiamo cosa fece Garibaldi e pochissimi sanno che assieme a Watson e Crick c'era anche Rosalind Franklin che ebbe un ruolo chiave nell'identificare la posizione dei gruppi fosfato nell'elica di DNA. Tutti sappiamo chi erano Hitler e Mussolini (beh, magari non proprio tutti) eppure pochissimi sanno quali sono i mattoncini base per costruire le proteine (gli amminoacidi, nda). La realtà è che la maggior parte degli adulti, votanti, italiani non sanno neppure chi siano Watson e Crick e ho un sincero terrore delle risposte che potrebbe darmi l'italiano medio alle domande "Cosa è il DNA?" e "Cosa sono le proteine?". Per carità, ignoranti ne esistono in tutto il mondo, ma solo e soprattutto in Italia gli ignoranti pretendono di risolvere i problemi e prendere in mano la situazione: per questo i movimenti anti-sperimentazione, che manipolano le informazioni in malafede per attirare gonzi in buonafede, trovano in Italia abbondante terreno fertile su cui far attecchire le proprie panzane. È la scuola che educa male, o meglio non educa, alla cultura scientifica. Magari ora la situazione sta cambiando, dopo il boom di scoperte scientifiche e tecnologiche degli ultimi 30 anni, però chi era a scuola 30-40 anni fa ha una preparazione umanistica, non scientifica, e nessuno di noi scienziati è lì a spiegargli come gira il (nostro) mondo. Aver il Vaticano come vicino di casa non aiuta, ma è non è una giustificazione sufficiente.
É della senatrice De Biasi e della stessa Cattaneo l'iniziativa di portare alcuni scienziati italiani di spicco in Senato e dargli la possibilità di spiegare ai presidenti Grasso e Napolitano e pochi altri senatori presenti per caso, cosa fanno ogni giorno. Iniziativa nobile, che mi inorgoglisce, e che il Ministro Lorenzin ha accolto positivamente nell'intento di bloccare "l'analfabetizzazione scientifica del paese", in cui c'è "gente che pensa che con la scienza non si mangi, e intanto mangia scienza".
Conclusioni? Onore alla Cattaneo, che fa quello per cui è stata chiamata, alzare la voce e portare la questione scientifica al centro dell'attenzione mediatica. Ma bisogna essere oggettivi anche nell'analizzare l'attenzione mediatica. L'informazione, che sia per tv, internet o giornali, deve arrivare, e deve arrivare corretta, chiara e completa. Solo così smetteremo di essere un popolo di topi che segue i pifferi magici e inizieremo ad essere persone che usano il cervello. Che, guarda un po', è l'attività principale di un laboratorio.