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Sono migranti ma nostri fratelli

«Andiamo a prenderli noi! ». Mi associo con forza a questa richiesta degli abitanti di Lampedusa, che stanno invocando un «corridoio umanitario» per chi fugge dalla fame, dalla guerra, dagli stupri, dalle torture. Basta con i barconi fradici e con i gommoni strapieni, basta con i Caronti che portano il loro carico umano alla morte. Forse c’è di mezzo anche la mafia, che conclude patti scellerati con i «passatori» africani.

Sono migranti ma nostri fratelli

«Andiamo a prenderli noi! ». Mi associo con forza a questa richiesta degli abitanti di Lampedusa, che stanno invocando un «corridoio umanitario» per chi fugge dalla fame, dalla guerra, dagli stupri, dalle torture. Basta con i barconi fradici e con i gommoni strapieni, basta con i Caronti che portano il loro carico umano alla morte. Forse c’è di mezzo anche la mafia, che conclude patti scellerati con i «passatori» africani.

Non si potrà non parlare di questa tragedia, nella conferenza mondiale di Science for Peace, che è organizzata dalla Fondazione Veronesi e che si aprirà a Milano il 15 novembre, e bisognerà farlo affrontando la difficoltà di accantonare i toni emotivi, e di chiamare il mondo intero a ragionare sui motivi politici ed economici che determinano la tragedia dei migranti.

Può essere che a qualcuno sembri un’utopia il corridoio umanitario chiesto dagli abitanti di Lampedusa, ma io invito tutti a pensare che loro sono gli unici a non vedere la morte in televisione, ma nella sua dimensione reale di terrore e di orrore. Da anni Lampedusa è diventata suo malgrado la terra di sbarco dei disperati, e il suo cimitero ormai fa pensare a quello della tragedia del Vajont: lì quasi duemila tombe portano la stessa infausta data, 9 ottobre 1963. Qui i resti di persone senza nome condividono la data di un giorno di mare brutto, o anche (com’è stato stavolta) di mare calmissimo, in cui però chi non sa nuotare va a fondo ugualmente.

Ora per l’isola di Lampedusa, che nonostante la stanchezza continua con coraggio l’opera di soccorso, si sta proponendo il Nobel per la Pace. Sarebbe giusto essere d’accordo, ma io dico che la semplice e altissima umanità non ha bisogno della ribalta di Oslo, non ha bisogno di dare un’altra occasione di parole in un mondo che sta morendo di parole senza fatti. Sappiamo tutti cosa dicono i rapporti di Amnesty International sulle disumane condizioni di vita di eritrei e somali. Per non parlare dei libici, dei sudanesi, e adesso dei siriani. Intere zone dell’Africa e dell’Asia ribollono di fuggiaschi. Per favore, non facciamo finta di credere che lascino la loro patria per venire nell’occidente consumistico. Per comperarsi jeans alla moda e telefonini di ultima generazione. No, fuggono per salvarsi la vita, ed è significativo che le povere famiglie si vendano tutto per far partire i più giovani: che tentino di vivere.

E allora, perché non smettere di ubriacarci di parole e di stracciarci le vesti quando i morti diventano, come questa volta, più di trecento? In che cosa la nuova tragedia è diversa dalle precedenti? Solo per la quantità delle vittime? Io credo che sia arrivato il momento di una riflessione mondiale a livello dell’Onu. Se ci sono così tanti Paesi con dittatori crudeli e corrotti, se ci sono interi popoli che non hanno mai conosciuto libertà e diritti civili, le politiche economiche degli altri Paesi sono davvero senza colpe? Non si tratta di discutere su chi in Europa deve accogliere i fuggiaschi, e come questo vada fatto. Ma di cambiare i rapporti politici ed economici con una fetta del mondo, in modo che non ci siano più fuggiaschi.

Ed è anche ora di smetterla di dire e scrivere sciocchezze. Come quella di verificare, quando ci sono questi sbarchi di sventurati, chi è clandestino e chi invece ha i titoli per essere accolto. Scusate, ma se uno ha le carte a posto, chi glielo fa fare di rischiare la vita? Compra un bel biglietto aereo, s’infila tra i turisti di una Compagnia low cost, e gli costa anche di meno del «passaggio» sui barconi dei Caronti.

In realtà, sono tutti clandestini. E nostri fratelli.

Umberto Veronesi



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