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Siamo ancora una civiltà barbara

Avremmo dovuto accoglierla  con esultanza e grande entusiasmo, invece la notizia che lo Stato americano del Connecticut ha abolito, alcuni giorni or sono, la pena di morte è passata quasi ignorata. Ogni volta che nel mondo uno stato cancella dal proprio regolamento quella che ormai si ritiene unanimemente una punizione crudele, disumana e degradante, io credo che si celebri una vittoria del diritto e della civile democrazia. La pena di morte viola il diritto alla vita, è irrevocabile e può essere inflitta a innocenti. Non ha effetto deterrente e il suo uso sproporzionato contro poveri ed emarginati è sinonimo di discriminazione e repressione. La pena di morte viene dai tempi bui del passato e  rimane un residuo di quel passato, come a lungo lo sono state la schiavitù e la tortura, che la coscienza universale ha cancellato.

Siamo ancora una civiltà barbara

Avremmo dovuto accoglierla  con esultanza e grande entusiasmo, invece la notizia che lo Stato americano del Connecticut ha abolito, alcuni giorni or sono, la pena di morte è passata quasi ignorata. Ogni volta che nel mondo uno stato cancella dal proprio regolamento quella che ormai si ritiene unanimemente una punizione crudele, disumana e degradante, io credo che si celebri una vittoria del diritto e della civile democrazia. La pena di morte viola il diritto alla vita, è irrevocabile e può essere inflitta a innocenti. Non ha effetto deterrente e il suo uso sproporzionato contro poveri ed emarginati è sinonimo di discriminazione e repressione. La pena di morte viene dai tempi bui del passato e  rimane un residuo di quel passato, come a lungo lo sono state la schiavitù e la tortura, che la coscienza universale ha cancellato.

Da tempo la mobilitazione di enti, istituzioni e la comune coscienza civile dei più sta conducendo la battaglia abolizionista; cinque anni or sono l’ONU ha approvato una storica risoluzione – ricordo che l’ha presentata l’Italia – per la moratoria universale della pena di morte, cioè una sospensione internazionale delle esecuzioni capitali.  Anche il movimento Science for Peace, creato dalla mia fondazione, ha lanciato una petizione per l’abolizione della pena di morte, perché i fini ultimi della scienza sono la tutela dei diritti umani e la lotta alla violenza in ogni sua forma.  

Era scientifico, ancor prima che etico, il ragionamento di Cesare Beccaria nel suo famoso trattato “Dei delitti e delle pene”, pubblicato nel 1764, che condannava la pena di morte anche come esempio di contraddizione giuridica: “Parmi assurdo che le leggi, che sono l’espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l’omicidio, ne commettano uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall’assassinio, ordinino un pubblico assassinio.”

Ma un’altra notizia, passata anch’essa quasi inosservata e proveniente sempre dagli Stati Uniti, mi lascia sgomento. E’ stato mandato a morte Michel Sensor, 57 anni, nello Stato di Oklahoma, per aver ucciso un uomo durante una rapina. Non è solo l’esecuzione capitale che rimane inaccettabile ma il fatto che quest’uomo era stato condannato 37 anni fa, quando di anni ne aveva solo 20. Mi chiedo se si può ritenere colpevole di morte un uomo dopo 37 anni di carcere e mi chiedo se Michel Sensor fosse la stessa persona  che ha progettato ed effettuato  un crimine 37 anni prima. Infatti è stato dimostrato che il cervello  dall’infanzia in poi si rigenera e si riplasma nel tempo e dunque il Michel mandato a morte non era il Michel che aveva ucciso; ma soprattutto è dimostrato che la speranza di rieducare una mente  che ha avuto  comportamenti devianti  c’è ed è concreta. 

Le neuroscienze dimostrano inequivocabilmente  l’ assurdità della pena di morte che, alla luce delle  conoscenze attuali sul cervello e sulla mente umana,  appare chiaramente come  uno strumento di giustizia barbaro e obsoleto.  Infatti è nato  in civiltà  primitive, che avevano  conoscenze dell’uomo e del Pianeta  infinitamente più limitate e condizioni di vita infinitamente più arretrate. Erano mondi che si reggevano sulla violenza e  in cui il valore  della  singola vita umana era quasi nullo, mentre le  società moderne si reggono sul rispetto dei diritti umani e la condanna della violenza.  Invece  uccidere un assassino, per quanto colpevole di delitto, è un modo per legittimare il principio della vendetta e per legalizzare la cultura  della violenza e dell’aggressività.

Umberto Veronesi

 



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