Si può amare il nostro nemico?
L'appello del professore: occorre porre fine alle stragi di cristiani nei Paesi a prevalenza islamica. E un richiamo al mondo dell'informazione: che senso ha accendere le luci sulle decapitazioni?
Il sangue di Abele, il primo sangue versato nella tragedia del mondo, è anche il sangue dei terroristi islamici linciati dai cristiani di Lahore dopo l’attentato dei kamikaze. Nemici, e nemici feroci, certo. Ma io, pur non essendo credente, credo con tutte le mie forze nel rivoluzionario insegnamento di Gesù: «A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra». L’Isis può usare la violenza e terrorizzare il mondo, ma non vincerà se non in un caso: che nella coscienza dei laici tramonti la difesa dei valori di tolleranza e di libertà, e dalla fede dei cristiani svaniscano quelle parole così difficili da accettare: «Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono».
In Libia, nel momento in cui i 21 ostaggi copto-ortodossi sono stati decapitati dall’Isis, si è visto che le loro labbra pronunziavano il nome di Gesù. È una tradizione millenaria dei martiri cristiani, quella di morire così. Invocando il nome di chi ha cambiato la visione del mondo e dei rapporti tra gli uomini. La persecuzione dei cristiani è tragicamente ingiusta, ma non si può rispondere alla violenza con la violenza, all’orrore con l’orrore. Perseguitati, braccati, sempre in pericolo di vita, i cristiani che alzano la Croce sotto la mezzaluna dell’Islam vivono in condizioni così difficili che a noi non è dato giudicarli, sarebbe troppo facile e gratuito. Ma resta il fatto che la religione cristiana si distingue dalle altre due religioni «del Libro» (Ebraismo e Islamismo) perché il concetto di vendetta non vi trova posto, e alla figura del nemico, presente nel Vecchio Testamento, il Vangelo ha sostituito quella del fratello, sempre e ovunque.
Ascoltiamo dunque papa Francesco e i rappresentanti locali dei cristiani perseguitati: occorre un generoso e fermissimo intervento internazionale per far cessare le stragi di uomini «uccisi solo perché cristiani», e occorre far presto, prima che il sonno della ragione (o magari, per non essere ingenui, la «ragion di Stato») sconfigga le posizioni degli islamici moderati e getti le comunità cristiane in un disorientamento anche morale. Occorre anche correggere quella perversione tutta moderna che è l’informazione-spettacolo. Che altro è, infatti, un’informazione che accende i riflettori solo sugli incendi, sulle stragi, sulle decapitazioni?
La persecuzione dei cristiani in Oriente e in Africa è stata dimenticata per anni, quasi volutamente nascosta. Sono decenni che le comunità cristiane sono vessate e perseguitate in tutti i Paesi dove si registra l’avanzata dell’estremismo islamico. Prima di arrivare alle bandiere nere dell’Isis e alle chiese e alle case distrutte, c’è stato il progressivo imbarbarimento dei diritti negati, dell’ emarginazione programmata, delle delazioni strumentali. Ai Copti, per esempio, è stato consentito soltanto il mestiere di spazzino, ed è un caso ricorrente che nelle chiese s’introducano spie islamiche che hanno il compito di denunciare «per blasfemia» i discorsi rivolti ai fedeli. Così, stanno rinascendo anche in questo XXI secolo i luoghi di preghiera segreti, e le nuove catacombe sono caverne tra le rocce che affiorano nei deserti.
Il secolo scorso ha avuto il nazismo, il fascismo, lo stalinismo, l’apartheid. Abbiamo creduto che le ideologie scellerate fossero superate, che si fossero inabissate nella Storia, lasciando all’umanità una preziosa eredità di anticorpi. Ci siamo sbagliati. Se lasciamo soli i cristiani dell’Oriente e dell’Africa, è di nuovo in pericolo l’umanità intera.
Umberto Veronesi