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Se non sappiamo perdonare

Aveva appena compiuto vent’anni. Una sera attese, nascosto in cucina, i genitori, il padre Antonio e la mamma Rosa, di ritorno da una riunione in parrocchia. Poi insieme con tre coetanei li massacrò con una spranga. Indossava maschere di carnevale e aveva già tentato di uccidere i genitori con due bombole di gas. Dopo il delitto se ne andò a ballare in discoteca. Fu condannato a 30 anni ed ora, dopo 22 anni di carcere, ridotti dall’indulto, Pietro Maso tornerà libero il 15 aprile prossimo.

Se non sappiamo perdonare

Aveva appena compiuto vent’anni. Una sera attese, nascosto in cucina, i genitori, il padre Antonio e la mamma Rosa, di ritorno da una riunione in parrocchia. Poi insieme con tre coetanei li massacrò con una spranga. Indossava maschere di carnevale e aveva già tentato di uccidere i genitori con due bombole di gas. Dopo il delitto se ne andò a ballare in discoteca. Fu condannato a 30 anni ed ora, dopo 22 anni di carcere, ridotti dall’indulto, Pietro Maso tornerà libero il 15 aprile prossimo.

Posso immaginare che come per il delitto di cui si è macchiato, per l’efferatezza e per il motivo (“volevo i soldi dell’eredità per fare la bella vita, senza faticare tanto come avevano fatto i miei vecchi”) anche la liberazione di Pietro Maso, è destinato a far discutere aspramente.

Certamente ci troviamo di fronte a un omicidio premeditato e non  il frutto di un raptus patologico di follia; certamente Pietro Maso era sano di mente e il pentimento  a cui si è convinto è avvenuto dopo  alcuni anni. E certamente siamo di fronte a un caso complesso, il cui intrico psicologico  gli psichiatri hanno cercato di sciogliere. Ma proprio per questo motivo  trovo indispensabile e giusta la strada della rieducazione per restituire Pietro Maso alla società.

Appartengo alla vasta  schiera dei sostenitori dell’origine ambientale del male: non esistono persone geneticamente predisposte al delitto, ma esistono persone  psicologicamente più fragili che vengono influenzate da fattori esterni (famiglia, cultura, disagio  sociale o  psichico) che li spingono  al delitto. Se accettiamo  questo presupposto scientifico, allora compito della giustizia  non è vendicarsi  per il reato commesso con la punizione  e l’estromissione dalla società, magari per tutta la vita, ma è la rieducazione e in caso di successo, il reinserimento sociale. Anche le moderne neuroscienze  aiutano a comprendere che un uomo a vent’anni può avere  una mente che col tempo si evolve e si trasforma. 

Contrariamente a quanto credevamo fino a pochi anni fa,  la mente umana si evolve per tutta la vita, e non solo in gioventù, e dunque può essere plasmata ed educata. Per quanto freddo e crudele sia stato  Pietro a vent’anni, ora, vent’anni  dopo,  non è più la stessa persona.   Il sistema giudiziario non potrà più ignorare questa realtà, che è un elemento rassicurante per tutti i cittadini. Una situazione drammatica e violenta nelle  carceri e l’impossibilità di riabilitare chi ha commesso un crimine  non contribuiscono certamente al senso di sicurezza e di fiducia nel sistema giudiziario. 

La forza della  democrazia è non avere paura:  una pena giusta non è un atto di debolezza, ma di forza, perché afferma il principio che nessun uomo è estraneo alla società. Se il  Paese non perdona Pietro Maso, se lo emargina e non l’aiuta a reinserirsi nella società, anche se il suo conto con la giustizia lui l’ha pagato, allora tutto diventa vano. Pensiamo alle vittime della violenza, si dice. Pensiamo al dolore delle famiglie, all’irrimediabilità dei delitti commessi. Ma la pena non può essere vendetta, e nessuna condanna cancella il dolore.



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