A pagare sono sempre le donne
Sulla cosidetta “pillola dei 5 giorni dopo” nonostante il parere favorevole del Consiglio superiore della sanità, cioè del massimo organo consultivo, (che ha certificato con l’esperienza scientifica dei suoi specialisti: “Non è un prodotto abortivo”), la polemica ha assunto i toni demagogici, come solitamente accade in Italia.
Sulla cosidetta “pillola dei 5 giorni dopo” nonostante il parere favorevole del Consiglio superiore della sanità, cioè del massimo organo consultivo, (che ha certificato con l’esperienza scientifica dei suoi specialisti: “Non è un prodotto abortivo”), la polemica ha assunto i toni demagogici, come solitamente accade in Italia.
Così come era accaduto con la RU 486, osteggiata prima accampando presunti rischi, poi combattuta in quanto secondo gli oppositori costituiva un ulteriore incentivo all’aborto, mentre, poichè anche in Italia l’aborto è legale per legge dal 1978, permetteva alle donne che decidevano di abortire di farlo con un metodo meno traumatico di quello chirurgico.
Anche per la pillola dei 5 giorni dopo gerarchie cattoliche e movimenti “per la vita” si sono mobilitati per negare quello che è un diritto delle donne, diritto che in altri 21 paesi europei, oltre USA e Canada, è già riconosciuto dal 2009.
Con una buona dose di ipocrisia si è detto che la pillola, sarebbe “un aborto raffinato” e invece è un anticoncezionale che permette alla coppia (non solo alla donna) di programmare responsabilmente il proprio futuro. E ancora una volta, e lo dico con profonda pena, si combatte la pillola, consapevolmente o no, anche in base al principio crudele che la donna deve espiare la sua "colpa". Invece la pillola ( che sia la RU o sia quella dei 5 giorni) sta dalla parte di questa donna fragile e in crisi, che tante volte vorrebbe tenere il suo bambino ma non può farlo.
Basti pensare alle povere immigrate che devono scegliere tra perdere il lavoro che ha riscattato la loro miseria, o perdere il figlio che aspettano. Chi le ha viste piangere di rabbia e di solitudine nell’ambulatorio di un ospedale non può dimenticarlo.
Umberto Veronesi