Non si uccidono così i bambini
E’ stata una colonia italiana, dal 1869 quando c’era ancora il Regno d’Italia; migliaia di connazionali si sono insediati in quel Corno d’Africa, vi abbiamo costruito case, scuole, strade; a Mogadiscio, la capitale, ancora nel 1960 quando divenne indipendente, risiedevano 30 mila italiani. Ero bambino e vedevo fumare le sigarette Giuba, dal nome di un fiume somalo. Ce la dovremmo ricordare la Somalia.
E’ stata una colonia italiana, dal 1869 quando c’era ancora il Regno d’Italia; migliaia di connazionali si sono insediati in quel Corno d’Africa, vi abbiamo costruito case, scuole, strade; a Mogadiscio, la capitale, ancora nel 1960 quando divenne indipendente, risiedevano 30 mila italiani. Ero bambino e vedevo fumare le sigarette Giuba, dal nome di un fiume somalo. Ce la dovremmo ricordare la Somalia.
Due settimane fa i giornali e le televisioni hanno mostrato foto strazianti di bambini in braccio a donne scheletrite che vagano per terre aride. Sempre e solo donne perché gli uomini sono altrove, in guerra. Donne coi loro fagottini seminudi in braccio, gli occhi colmi di una tristezza infinita di chi aspetta una fine che non può cambiare. Per uno-due giorni siamo stati colpiti da queste immagini e molti hanno voltato pagina e la testa per non vedere. Poi il silenzio dell’indifferenza.
Ma in Somalia oggi si sta consumando una catastrofe immane; 12 milioni di cui due di bambini stanno correndo disperatamente in cerca di acqua e cibo, flagellati oltre che dalla carestia da una guerra tribale. L’Onu ha dichiarato lo stato di emergenza umanitaria, una condizione che si verifica quando il numero di bambini malnutriti supera il 30%. In Somalia la fame ha superato il 50% e ogni giorno si spengono sei creaturine, per fame e sete. La siccità da due stagioni ha rinsecchito ogni germoglio, e si mangiano le sementi per sfamarsi. I pastori si spostano con le loro mandrie di bovini, di capre e di cammelli anche loro nella ricerca di pascolo: i pochi animali sopravvissuti servono a dissetare i bambini con il sangue prelevato con un taglio sotto l'orecchio.
Ce la dovremmo ricordare noi italiani della Somalia. Mi consola ricordare che c’è chi si ricorda, come “La Stampa” che ha lanciato un appello per dare una speranza a quei bambini, gli occhi e la pancia grandissimi. E’ già stato raccolto, attraverso la benemerita rubrica “Specchio dei tempi” quasi un milione di euro, è stato messo in moto un approvvigionamento di acqua a 5 mila famiglie, con quattrocento camion cisterna che ogni giorno trasportano 12 mila litri di acqua. E altri progetti sanitari sono in atto. E mi consola anche ricordare che la Conferenza di “Science for Peace” che da tre anni chiama a raccolta scienziati di tutto il mondo nell’edizione che si tiene il 18-19 novembre a Milano, ha in discussione tra gli altri temi quello dell’accesso all’acqua e al cibo nei paesi martoriati dalla guerra.
Perché, sono convinto, che la pace non sia solo il silenzio delle armi ma il riconoscimento ai più indifesi dei diritti fondamentali della vita. I diritti dei deboli che sono diritti forti.
Umberto Veronesi