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Mi dichiaro un esodato dalla democrazia

E’ il meno che possa dire davanti all’incredibile vicenda dei miei 65mila concittadini che prima della fine dell’anno scorso hanno accettato, con un incentivo non certo al livello delle ruberie milionarie di cui leggiamo tutti i giorni, di lasciare il posto di lavoro prima del tempo, con la certezza di ricevere la pensione al massimo entro due anni. Poi l’età pensionabile è stata innalzata, e ora queste decine di migliaia di persone si trovano come chi, camminando su una strada, si deve arrestare davanti a un ponte crollato. Finiti i soldi dell’incentivo, come faranno ad arrivare al giorno della pensione? Come faranno a mangiare, pagare l’affitto, pagare le bollette, e magari essere la magra provvidenza dei figli che non trovano lavoro? 

Mi dichiaro un esodato dalla democrazia

E’ il meno che possa dire davanti all’incredibile vicenda dei miei 65mila concittadini che prima della fine dell’anno scorso hanno accettato, con un incentivo non certo al livello delle ruberie milionarie di cui leggiamo tutti i giorni, di lasciare il posto di lavoro prima del tempo, con la certezza di ricevere la pensione al massimo entro due anni. Poi l’età pensionabile è stata innalzata, e ora queste decine di migliaia di persone si trovano come chi, camminando su una strada, si deve arrestare davanti a un ponte crollato. Finiti i soldi dell’incentivo, come faranno ad arrivare al giorno della pensione? Come faranno a mangiare, pagare l’affitto, pagare le bollette, e magari essere la magra provvidenza dei figli che non trovano lavoro? 

Brutta parola, gli «esodati». Ma molto più brutto il concetto, che mi fa appunto temere per una democrazia  che in nome dell’ineluttabilità della crisi si sente autorizzata a macinare le stentate vite dei singoli. Quella dei cittadini rimasti senza lavoro e senza pensione è solo una delle tante vicende alla Gogol intrise d’ingiustizia, e  ormai accadono tanto frequentemente che la coscienza collettiva vi ha fatto il callo, come ai massacri di guerra trasmessi dalle tv.

Gli sceicchi hanno appena finito di dire al nostro presidente del Consiglio che si esita ad investire in Italia a causa della corruzione, e temo che l’impressione internazionale sia proprio questa: un Paese dove per fare impresa devi distribuire tangenti. Una casta parassitaria, arrogante e ignorante (pensate alla bella idea, poi ritirata, di mettere una tassa sulle borse di studio!),  intercetta qualsiasi flusso di denaro, e mette le mani nelle tasche dei cittadini. Dire queste cose non è «antipolitica», anzi è invocare il ripristino dell’etica politica, in cui per una breve stagione hanno creduto i padri costituenti di questa Repubblica fondata sul lavoro.

Ma questa nostra povera Repubblica è ancora fondata sul lavoro? A me sembra di no. Ma vogliamo guardare avanti, a come funzionerà il mondo tra venti o trent’anni? Secondo l’economista Jeremy Rifkin, che molti candidano per il Nobel, la ripresa della crescita economica nei Paesi sviluppati, e la conquista del diritto alla vita nei Paesi poveri, non sono correlate a un inumano e impossibile abbassamento del costo del lavoro,  ma all’indipendenza dal petrolio come fonte energetica. Il costo del petrolio non calerà anzi crescerà, prevede Rifkin. Non servirà a nulla il rimedio brutale di vuotare le fabbriche e gli uffici, e la ripresa sarà impossibile se non si svilupperà il mondo in un’altra direzione: la strategia necessaria passa infatti dall’uso di nuove fonti di energia, che vanno scoperte, incentivate e potenziate. E’ una svolta che potrà anche tacitare le guerre, e in questo ci aiuterà la scienza: Scienza per la Pace.



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