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In memoria di una ragazza libica uccisa dal fanatismo

Intissar Al Hassairi, attivista del movimento «Donne libiche per l’Illuminismo», credeva nell'opportunità di costruire una Libia moderna attraverso la lettura. L'hanno uccisa, ma adesso le sue idee devono andare avanti

In memoria di una ragazza libica uccisa dal fanatismo

Credeva nei libri. Con una cooperativa di altre ragazze, aveva aperto una biblioteca-bar nel centro di Tripoli, e invitava la gente a donare libri per quel piccolo locale in cui i giovani si fermavano a leggere. Nella brevissima vita di Intissar Al Hassairi, attivista del movimento «Donne libiche per l’Illuminismo», mi ha colpito la sua speranza che la cultura vincesse sulla violenza. L’hanno trovata uccisa a colpi di arma da fuoco.

Intissar, che portava il velo ed era musulmana, credeva nella costruzione di una Libia moderna, sottratta alla violenza e all’illegalità, sottratta alla guerra civile e all’odio ideologico. Lo scriveva su Facebook, lo gridava  nelle manifestazioni all’università di Tripoli e nelle piazze. Ed era convinta che i libri fossero un’apertura sul mondo, uno strumento per indagare la complessità dell’esistere. Probabilmente non conosceva Vittorio Alfieri, ma ne condivideva l’atteggiamento mentale: «Leggere, come io l’intendo, vuol dire profondamente pensare». L’hanno fatta tacere, e non è stato solo un delitto. È stato uno spreco di vita.

Ragione e irrazionalità, tolleranza e fanatismo si dividono la Storia. La giovane illuminista di Tripoli credeva nei libri, li considerava preziosi per la società. Non è così per i terroristi islamici dell’Isis, che un mese fa hanno bruciato migliaia di libri, perché «non islamicamente corretti» prelevati dalla grande biblioteca di Mossul, dalla biblioteca  musulmana sunnita, dalla biblioteca della Chiesa latina e dal convento dei padri domenicani, tra i quali vi erano scritti risalenti a migliaia di anni fa.

Niente di nuovo, purtroppo.  Nel remoto anno 642 la celebre biblioteca di Alessandria d’Egitto fu data alle fiamme dagli arabi, con questa motivazione: «In quei libri o ci sono già cose presenti nel Corano, o ci sono cose che del Corano non fanno parte. Se sono presenti nel Corano sono inutili, se non sono presenti, allora sono dannose e vanno distrutte».  Libri da distruggere come simbolo delle idee da combattere, dalla Santa Inquisizione a Girolamo Savonarola, da Hitler al generale Pinochet.  Ma anche libri che vanno distrutti in quanto «libri», cioè prodotto non omologabile. Come immaginò lo scrittore di fantascienza Ray Bradbury, che in Fahrenheit 451 descrive una società  in cui i vigili del fuoco hanno la missione di localizzare e bruciare libri.

Io credo invece in una società in cui i libri ci saranno sempre, su carta o sui nuovi supporti informatici, e susciteranno il dialogo, la fantasia, le emozioni e tutto ciò che è più proprio dell’uomo. In memoria della giovane ragazza libica, la cui piccola libreria «di strada» è stata probabilmente data alle fiamme, affermo la mia ostinata speranza che bruciare i libri è inutile. Lo dice un racconto della tradizione ebraica. Un ebreo è sul rogo, con i rotoli della Legge legati al collo. Tra i  correligionari che assistono impietriti, un uomo di bassa statura chiede a un altro: «Non riesco a vedere. I rotoli della Legge bruciano?». «Sì, bruciano. Ma le parole…le parole volano via».

Umberto Veronesi



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