Ma come è difficile andare in ospedale
In centro o in periferia, molti nosocomi sono a malapena raggiungibili. A Milano mai integrati nel contesto urbano
In questi giorni l’associazione Genitori Antismog ha espresso preoccupazione per gli alti tassi di inquinamento atmosferico intorno alle scuole. Molti edifici scolastici, infatti, sorgono a meno di cento metri da strade di grande traffico.
Questo mi ha fatto tornare alla mente una mia vecchia considerazione: non a proposito delle scuole, ma a proposito degli ospedali. L’Italia è piena di ospedali ospitati in ex monasteri o in ex palazzi nobiliari progettati e costruiti secoli fa, quando le auto non esistevano ed era sicuramente funzionale che i «pii luoghi» fossero ubicati nel pieno centro cittadino, per comodo dei visitatori appiedati e per l’arrivo dei rifornimenti alimentari.
Ora non è più così. E se molti ospedali costruiti recentemente sorgono in periferia o in campagna, convenientemente lontani da traffico intenso, molti altri sono rimasti incastonati in quadrilateri di viuzze strette dove romba giorno e notte un traffico infernale. L’entrata dello smog nei reparti è assicurata, insieme con un inquinamento acustico che crea disagio e stress nei malati, come accertò uno studio di alcuni anni fa.
Attualmente i ricoveri in ospedale non sono lunghi, e al contrario di ciò che accade ai bambini, che vanno a scuola molti mesi all’anno, per i degenti l’aver respirato smog per un periodo limitato non può costituire un danno rilevante, anche se sarebbe preferibile che non accadesse. Tuttavia, pensare agli ospedali intrappolati nel traffico delle città (molte volte con le finestre direttamente su strada) mi spinge a farmi alcune domande sugli ospedali come parte della progettazione del territorio.
E’ strano, ma sembra quasi che siano degli Ufo. Quelli antichi, ormai inadeguati alle esigenze della medicina moderna e del comfort alberghiero che tutti si aspettano, sono assediati dallo smog e rintronati dal rumore. Quelli nuovi, magari ospitati in grandi parchi verdi, sembrano depositati lì da un’astronave marziana. Nessuno sembra aver previsto un minimo di agio e di facilitazioni per chi arriva per una prestazione ambulatoriale o per far visita a un degente. A volte i parcheggi sono inesistenti, e se ci sono sembra normale che siano a pagamento. Se parliamo poi di mezzi pubblici, non è difficile scoprire quanto siano disagevoli i collegamenti: in genere un solo bus, con passaggi straordinariamente distanziati. E’ un grosso disagio sia per i cittadini, sia per chi lavora in ospedale.
Un caso rappresentativo è Milano. Fa da esempio negativo di una cultura sociale che non ha mai veramente inserito gli ospedali nel contesto urbano. Tanto per dire, nemmeno una delle linee del metrò (realizzate da anni o in via di affannosa realizzazione per l’Expo) ha previsto una fermata davanti a uno dei molti ospedali della città. Il meglio che può capitare è che ci sia una stazione della Metropolitana nelle vicinanze, a un centinaio di metri o qualcosa di più. Ma nessuno, negli anni, se n’è dato pensiero. E la linea rossa e la linea gialla MM conducono trionfalmente a via Montenapoleone, la via dell’alta moda.
Umberto Veronesi