Licenziata perché incinta
Il problema delle donne nel mondo del lavoro rimane in gran parte ancora irrisolto. Papa Francesco chiede una svolta in senso evangelico. È davvero così difficile trovare una soluzione?
«Troppe donne licenziate perché incinte». L’ha detto Papa Francesco a un convegno di imprenditori, con parole semplici che sono andate dritte al bersaglio: «Quante volte abbiamo sentito di una donna che va dal capo e gli dice di essere incinta, e di lui che le risponde “Da fine mese non lavori più”? E invece la donna deve essere custodita e aiutata, nel suo doppio lavoro di madre e di lavoratrice».
Le parole di Francesco, semplici e dirette, hanno il grande merito di portare in primo piano un dramma che continua a ripetersi sui posti di lavoro. Una ragazza non viene mai assunta senza irrispettose incursioni nella sua vita privata («Lei è fidanzata? Pensa di sposarsi?») e a una donna sposata si lanciano avvertimenti indiretti sull’inopportunità di fare figli, se ci tiene alla carriera e alla stabilità del posto. Il datore di lavoro o il capo del personale temono i relativi impicci: prima il congedo di maternità, poi il diritto ai permessi se il bimbo si ammala. In molti casi le aziende si sono spinte più in là, con la pratica illegale delle cosiddette «dimissioni in bianco», senza la data e con l’obbligo di firmarle all’atto dell’assunzione. Appena la dipendente rimane incinta, l’ufficio del personale provvede ad aggiungere la data e ad avviare il documento alle autorità competenti. Un brutto, vergognoso ricatto. Adesso la nuova legge sul lavoro ha previsto, per la presentazione delle dimissioni, esclusivamente una procedura on line che può essere attivata solo dal dipendente , e che - a partire dalla certezza della data - dà alle lavoratrici incinte tutte le garanzie di non poter essere licenziate contro la loro volontà. Ma il problema della donna nel mondo del lavoro è tutt’altro che risolto. Perché? Perché per i problemi umani non c’è accoglienza, non c’è apertura, ed è questo che ci ha voluto indicare papa Francesco.
Naturalmente, quello di Francesco non è un discorso «sindacale». S’inserisce, come altre posizioni del Papa, nella critica a una società che tende sempre di più a considerare «valori» soltanto quelli del mercato. Ha affermato il Papa: «È necessario orientare l’attività economica in senso evangelico, cioè al servizio della persona e del bene comune.» Un richiamo che non viene soltanto dalla cattedra di San Pietro, se si guarda ai recentissimi studi di economisti laici: non è escluso che il modello del profitto sia un bolide senza freni, destinato ad andare a sbattere.
Davvero non possiamo vedere se sarebbe lungimirante percorrere altre strade? Mi è venuto in mente l’imprenditore fiorentino di cui vi parlai due anni fa. Marco Bartoletti era un operaio, adesso ha un’azienda di minuterie metalliche che serve l’industria del lusso ed esporta in tutto il mondo. Bartoletti assume anche i malati di tumore, gli anziani che non trovano più impiego, gli ex tossicodipendenti che nessuno vuole, persone con problemi psichici. Ha trovato il lavoro adatto per tutti questi soggetti che teoricamente sarebbero incompatibili con la produzione, ed è soddisfattissimo del loro rendimento: «Chi è malato fa del suo meglio, e molte volte supera i cosiddetti sani». L’ho chiamato l’uomo «con una stella nel cuore» per la sua fattiva bontà (che non è buonismo) , e non lo considero un utopista, ma una persona concreta, capace di cambiare il famoso proverbio americano che «se non si fa parte della soluzione si fa parte del problema». È proprio così? Adattare il lavoro a un problema non può magari spalancare nuove prospettive?
Nessuno crede di poter arrivare alla società perfetta, ma vediamo almeno di organizzare il lavoro come accoglienza all’intero essere umano. Ciò che più mi ha colpito, nel discorso del Papa, è il riferimento alla necessità di dare un posto alla maternità della donna che lavora. Quando dice che «la donna deve essere custodita e aiutata» io non vi vedo nemmeno un filo di paternalismo e di superiorità, ma l’idea della giustizia da rendere a questa donna che aspetta un figlio. Francesco - che è un prete, che è un maschio, che è un Papa - con il breve e secchissimo dialogo tra la dipendente e il suo capo, ha saputo darci gli estremi per immaginare l’angoscia di una Annunciazione alla rovescia. Non è difficile indovinare un disordinato batticuore, e la triste previsione, subito confermata, che quel bambino nessuno lo aspetta, e che la nostra società non lo vuole. Com’è difficile non piangere, davanti a quella scrivania.
Umberto Veronesi